Rinnovabili, ambientalisti e sindacati in pressing sul Parlamento per il recepimento della direttiva Red III

L’8 ottobre 2025 il Consiglio dei ministri ha approvato in esame preliminare il decreto legislativo di recepimento della Red III, la terza direttiva Ue (2023/2413) per la promozione delle fonti rinnovabili: nonostante gli ampi ritardi – doveva essere recepita entro luglio 2024, tant’è che la Commissione Ue ha già avviato una procedura d’infrazione – lo schema di decreto non è ancora definitivo, in quanto deve completare l’iter di approvazione: si dovranno esprimere le Commissioni parlamentari competenti entro il 19 novembre 2025.
«È fondamentale che il recepimento avvenga in piena coerenza con quanto indicato nella stessa direttiva Red III, e non nella direzione opposta come è accaduto per il recepimento della Red II con il Dm Aree idonee – spiega nel merito Agostino Re Rebaudengo, presidente di Asja energy e past president di Elettricità futura – Perseverare in questo errore sarebbe grave per l’Italia sia data l’importanza di questa direttiva per accelerare la diffusione delle energie rinnovabili, sia considerando il grave ritardo già accumulato nel suo recepimento».
La posta in gioco è molto elevata, non solo sotto il profilo ambientale ma anche socioeconomico, come sottolinea l’associazione di filiera Alleanza per il fotovoltaico col suo portavoce Filippo Fontana: «Il fotovoltaico utility-scale è un pilastro strategico per la sicurezza energetica e per la competitività industriale del Paese. Il settore è in grado di generare fino a 150.000 nuovi posti di lavoro entro il 2028, un numero paragonabile a quello dell’intero comparto automotive. Il decreto correttivo rappresenta un’occasione decisiva per favorire lo sviluppo del comparto, trasformando in realtà la semplificazione promessa dal Testo Unico Rinnovabili. Ma se non verranno risolte le attuali criticità, il rischio è di rallentare gli investimenti e di compromettere il raggiungimento degli obiettivi energetici nazionali. Servono regole chiare, stabili e applicabili per permettere al fotovoltaico di esprimere tutto il suo potenziale».
Oltre all’Alleanza, anche ambientalisti e sindacati stanno svolgendo in questi giorni le audizioni presso le commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera, mettendo in evidenza le criticità ancora presenti, in un contesto che vede le installazioni di nuovi impianti rinnovabili ferme ad appena +4,5 GW nei primi nove mesi dell’anno (-16,2% rispetto al 2024) quando ne servirebbero oltre 11 per traguardare i pur timidi obiettivi che lo stesso Governo si è dato.
In particolare, Legambiente ritiene «sicuramente positivo l’aumento dell’obiettivo nazionale relativo alla quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia entro il 2030 che passa dal 30% al 39,4%. Sicuramente un passo in avanti, ma che sottolineiamo non essere non in linea date con la comunità scientifica in tema di emergenza climatica. A tal proposito sarebbe importante, visto anche il grande potenziale del nostro Paese, che tale percentuale fosse portata al 50%. Sempre sullo stesso articolo ci domandiamo il perché venga “soppresso” l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 55% rispetto ai livelli del 1990 da conseguire entro il 2030. Percentuale che anche in questo caso non è in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione, tema che non può essere trattato come ideologico ma che invece rappresenta una vera e propria opportunità per far crescere l’economia del Paese, la sua competitività. Per questo chiediamo che non solo venga ripristinato l’obiettivo della riduzione delle emissioni, ma che questo venga portato al 65%, accompagnando tale obiettivo con forti politiche di spinta di realizzazione degli impianti a fonti rinnovabili e di efficienza energetica».
Molto critica anche l’audizione della Cgil, che evidenzia come lo schema di decreto per il recepimento della Red III porti l’obiettivo nazionale relativo alla quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia da conseguire nel 2030 dal 30% al 39,4%, come già previsto dal Pniec; tale obiettivo è però inferiore a quello europeo, in quanto tra i punti rilevanti della direttiva c’è quello di aver fissato un obiettivo vincolante per l'Ue di raggiungere almeno il 42,5% di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia entro il 2030, con l'ambizione di arrivare al 45%, e di prevedere la dichiarazione di "prevalente interesse pubblico" in riferimento allo sviluppo di energie rinnovabili.
«Il Pniec – argomenta il sindacato – presenta sostanziali divari rispetto agli obiettivi climatici europei, per le rinnovabili, punta a un contributo del 39,4% al consumo finale lordo di energia entro il 2030, a fronte di un obiettivo europeo vincolante del 42,5%, con l’aspirazione di raggiungere il 45%, mentre per le emissioni totali di gas serra prevede una riduzione del 49% al 2030, rispetto al 1990, invece del 55%, e del 60% al 2040, invece del 90%. La distanza è ancora più evidente se guardiamo ai risultati realizzati al 2023: l’Italia ha ridotto finora le emissioni del 26% rispetto al 1990, mentre la media europea è stata del 37% […] Il Governo, invece di orientare e accelerare la transizione energetica, continua a sostenere la realizzazione di nuove infrastrutture e importazioni di fonti fossili, rallenta lo sviluppo delle rinnovabili e lavora al ritorno del nucleare in Italia. La Cgil non condivide e si opporrà a questa iniziativa».
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