Se non rispondiamo più alle chiamate è (anche) colpa del telemarketing

Agosto 19, 2025 - 10:00
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Se non rispondiamo più alle chiamate è (anche) colpa del telemarketing

Da oggi entrano in vigore le nuove norme per regolamentare il telemarketing, cioè l’insieme delle attività di marketing finalizzate a promuovere prodotti e servizi. L’Autorità garante delle comunicazioni (Agcom) ha annunciato che le nuove regole permetteranno di filtrare le chiamate fatte da paesi esteri utilizzando numeri italiani, e di limitare così lo spoofing telefonico: una tecnica che consente di falsificare il numero visualizzato sullo schermo del destinatario, un metodo utilizzato per aumentare le probabilità che le persone rispondano alla chiamata. 

Le nuove regole introdotte dall’Agcom prevedono l’obbligo di bloccare le chiamate da finti numeri fissi con prefissi italiani. Questa è solo una delle due tranche di norme che verranno introdotte in materia di telemarketing.  La seconda parte entrerà in vigore a partire dal 19 novembre. In caso di violazione di tali norme è prevista una multa che va dai cinquantamila euro, fino a un milione. 

Negli scorsi anni si era già provato ad arginare il fenomeno, seppur con scarsi risultati. A partire dal 14 aprile 2022 è infatti possibile iscriversi al Registro pubblico per le opposizioni, un servizio che dovrebbe obbligare le società di telemarketing a smettere di contattare i potenziali clienti che inseriscono il loro numero in tale registro. L’iniziativa, però, si è rivelata deludente.

Secondo un sondaggio dell’Unione nazionale consumatori realizzato nel luglio 2023 il trentuno per cento delle persone iscritte a tale servizio ha continuato a ricevere telefonate, anche se in numero minore: per il cinque per cento degli iscritti sono scomparse, mentre per il trentaquattro per cento nulla è cambiato. L’otto per cento delle persone ha dichiarato che le chiamate indesiderate sarebbero addirittura aumentate. Anche il Codacons, infatti, ha espresso scetticismo in merito all’efficacia delle nuove norme di Agcom, che tentano di regolamentare un mercato da tre miliardi di euro annui in Italia, con duemilatrentacinque call center operativi e circa ottantamila addetti. 

Nonostante i nuovi tentativi per regolamentare il settore, il telemarketing è già entrato nella nostra quotidianità e nella nostra cultura, e ha già cambiato il rapporto che abbiamo con le chiamate telefoniche. Un sondaggio realizzato da Uswitch ha dimostrato che un quarto delle persone di età compresa tra i diciotto e i trentaquattro anni non risponde mai al telefono: ignora lo squillo, e se la chiamata in entrata proviene da un numero non registrato in rubrica fa un controllo online. In ogni caso, risponde perlopiù via messaggio. Più della metà delle persone intervistate – il cinquantasei per cento – dà per scontato che ricevere una chiamata improvvisa sia presagio di cattive notizie. I più giovani preferirebbero infatti interagire tramite i social media (il quarantotto per cento) o attraverso messaggi vocali (il trentasette per cento). 

Crescere durante l’era dei social media ha portato le giovani generazioni ad allontanarsi dalle chiamate vocali, portandole a preferire altri strumenti di comunicazione. Tra le ragioni che spingono a farlo ci sono le preoccupazioni legate alle chiamate spam. Quasi i due terzi delle persone intervistate da Uswitch hanno infatti dichiarato che le chiamate moleste sono il motivo per cui non rispondono più al telefono. Un fenomeno comune anche negli over 55, che nel settantaquattro per cento dei casi confessano che questo è il motivo principale per cui evitavano le chiamate.

Chi non si lascia intimorire dai call center, invece, si trova a disagio nel rispondere a chiamate di cui non conosce il numero. La metà degli inglesi, infatti, vorrebbe sapere chi sta dietro alla cornetta prima di rispondere alla chiamata. Tra le ragioni meno frequenti che portano a non parlare al telefono ci sono invece il desiderio di non voler essere interrotti durante la giornata (ventitrè per cento) e l’essere impegnati, quindi di non avere tempo (ventiquattro per cento). Per tutti i motivi sopracitati, si stima che mediamente gli inglesi trascorrano in chiamata solo cinque minuti e mezzo al giorno. 

Secondo Simrat Sharma, esperta di telecomunicazioni per Uswitch, la generazione Z e i millenial più giovani oggi preferiscono sempre di più le note vocali “a bassa pressione”, cioè quelle «che offrono comunque una connessione personale, ma segnalano che c’è meno urgenza di rispondere». In un articolo della Bbc la consulente e psicologa Elena Touroni ha spiegato che parlare al telefono ora è diventato quasi imbarazzante, come se non fosse la norma. Questo perché le persone giovani – essendo nate nell’era dei social media – non hanno sviluppato la capacità di sostenere delle conversazioni al telefono. 

Secondo la psicoterapeuta Eloise Skinner la sensazione di ansia legata al rispondere alle chiamate è invece strettamente legata alla frenesia della quotidianità. «Più le nostre vite si riempiono di impegni e gli orari di lavoro si fanno più imprevedibili abbiamo meno tempo per chiamare un amico semplicemente per aggiornarci. Le telefonate, quindi, diventano riservate alle notizie importanti della nostra vita, che spesso possono essere complicate e difficili».

Ma tra le ragioni per cui sempre più persone evitano di rispondere alla chiamate emergono le difficoltà relazionali: «Le telefonate richiedono reazioni immediate e mancano di segnali visivi, rendendo più facile fraintendere le conversazioni – spiega il content creator Henry Nelson-Case, in un’intervista alla Bbc –. La pressione di questa comunicazione in tempo reale, unita alla scarsa praticità nell’uso del telefono, aumenta l’ansia: quindi, se dovete chiamare qualcuno all’improvviso, ricordate che potrebbe essere utile e gentile inviare un messaggio in anticipo per dire che state per chiamarlo, di cosa si tratta e se è effettivamente libero».

Per le generazioni più giovani non è cambiato solo il numero delle volte in cui si risponde al telefono, ma anche il modo in cui lo si fa. La Gen Z infatti non direbbe più “pronto” per rispondere a una chiamata, e non inizierebbe nemmeno la conversazione: rimarrebbe in silenzio, in attesa che sia l’altra persona a parlare per prima. Una tattica per escludere le chiamate automatiche e i truffatori che rilevano risposte vocali. Come per esempio la truffa del sì: un call center chiama facendo rispondere l’interlocutore a una domanda che non ha nulla a che fare con l’attivazione di un contratto. La risposta “sì” viene poi estrapolata dalla conversazione originale e utilizzata per l’attivazione di un contratto, per esempio per la fornitura di luce e gas. 

Il prezzo della “telefobia”, e cioè della paura o dell’ansia legata all’utilizzo del telefono per fare chiamate vocali, lo sta pagando soprattutto la generazione Z, che non risponde nemmeno ai datori di lavoro. C’è chi lo fa perchè si imbatte nelle cosiddette career catfish – posizioni lavorative che dall’annuncio sembravano molto diverse e migliori di quello che sono in realtà – e chi invece è sopraffatto dall’ansia, spesso causata dalle innumerevoli chiamate di telemarketing.

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