Shein fa discutere ma cresce. E ora l’ultra fast fashion attrae anche Amazon
L’ultra fast fashion è in crisi? Indubbiamente è un momento complesso quello che sta attraversando la moda a basso costo, soprattutto in Francia, là dove si sta consumando la lotta del comparto e delle istituzioni al dragone dell’ultra fast fashion Shein. Ma la domanda di prodotti a basso prezzo sembra non accennare a diminuire e il meccanismo sta ‘ingolosendo’ anche altri player.
Questo mese Shein ha aperto le sue prima insegne permanenti – seguiti a tante sperimentazioni retail sotto forma di pop-up stores – nella sede del Marais di Bhv, nel capoluogo francese, e presso sette insegne di Galeries Lafayette situate ad ad Angers, Digione, Grenoble, Le Mans, Limoges, Orléans e Reims.
Se queste ultime hanno causato la rottura tra il department store premium e Sgm, gruppo immobiliare che controllava le sette boutique, è stato soprattutto l’approdo nel baluardo parigino di Bhv a scatenare polemiche e controversie, nonché lo sciopero dei dipendenti del grande magazzino che hanno incrociato le braccia per protestare contro l’arrivo del player che più di tutti rappresenta il successo, le contraddizioni e le criticità della moda a basso costo.
Criticità che appaiono tanto più evidenti se si considera che Shein ha scelto proprio la Francia, il Paese europeo che più di tutti contro il fast fashion è sceso in campo, per piantare la propria bandierina a lungo termine. È stata, infatti, approvata recentemente anche in Senato la legge francese contro l’avanzata delle produzioni low cost, che dal 2030, sanzionerà le aziende considerate troppo inquinanti, minaccia per l’ambiente e per il comparto nazionale.
E anche l’Italia vorrebbe seguire l’esempio d’oltralpe: l’alleanza tra Confindustria Moda ed Euratex per una dichiarazione congiunta in questa direzione ne è la testimonianza. A livello nazionale, il Belpaese è ancora in attesa: un primo pacchetto normativo sarebbe dovuto arrivare nell’ambito del ddl Concorrenza, appena approvato, ma che a dispetto delle previsioni si farà ulteriormente attendere.
Indubbiamente, le spinte da parte degli enti più rappresentativi del settore e delle aziende sono il sintomo di una sensibilità che sta cambiando, ma che non rassicura però sulla presa ancora fortissima che gli attori del panorama low cost esercitano sui consumatori. Proprio in Francia, infatti, sono state chilometriche le code che si sono accalcate di fronte alle insegne Shein appena aperte al pubblico, a dimostrare il ruolo ancora di primo piano che il player e i suoi competitor – su tutti, il connazionale Temu – giocano nella partita delle vendite.
Ulteriore prova è l’annuncio da parte di Amazon di avere esteso la sua piattaforma di e-commerce low cost Amazon Baazar – nota come ‘Haul’ negli Stati Uniti – ad altri 14 mercati (tra cui Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia, Spagna, Giappone e Australia), proprio per intensificare la concorrenza messa in campo contro i competitor d’Oriente. L’e-tailer ospita prodotti ultra economici: abiti che si aggirano intorno ai 10 dollari e accessori da 5.
Negli States, in particolare, ci sarebbero i dazi di Trump ad aver contribuito all’indebolimento della fiducia dei consumatori e di conseguenza la loro propensione alla spesa, dirottandoli verso segmenti di mercato più convenienti. Allo stesso tempo, però, i player che popolano questo segmento stanno risentendo dell’amministrazione trumpiana per via dell’esenzione dell’esenzione ‘de minimis’, che che consentiva l’ingresso negli Stati Uniti in franchigia doganale a pacchi di valore inferiore a 800 dollari.
La prima a risentirne sarebbe proprio Shein, che nei mesi successivi all’abolizione della norma avrebbe accusato un calo dell’8% delle vendite oltreoceano.
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