Stop ai controlli fiscali "immotivati" nelle aziende?

Lug 17, 2025 - 10:00
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Stop ai controlli fiscali "immotivati" nelle aziende?

lentepubblica.it

Stop alle ispezioni indiscriminate: un emendamento al decreto fiscale prevede l’obbligo di motivare in modo chiaro ogni accesso per controlli fiscali delle autorità negli studi e nelle aziende.


La norma arriva dopo la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha censurato l’Italia per le insufficienti garanzie offerte ai contribuenti durante i controlli tributari.

Cambio di passo nei controlli del fisco. In seguito a una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, l’Italia si prepara a introdurre una nuova disciplina per le ispezioni fiscali, volta a rafforzare le tutele per cittadini e imprese. Un emendamento al decreto fiscale, presentato dal relatore Vito De Palma (Forza Italia) e attualmente in discussione alla Commissione Finanze della Camera, impone che ogni accesso presso aziende o studi professionali da parte delle autorità tributarie sia accompagnato da una motivazione dettagliata e specifica.

Stop ai controlli fiscali “immotivati” nelle aziende?

Il nuovo emendamento introduce un principio che potrebbe segnare una svolta significativa nella prassi dei controlli fiscali: ogni ispezione dovrà essere sostenuta da motivazioni dettagliate, precise e circostanziate. Non basterà più una generica indicazione di presunti rischi o sospetti: sia gli atti di autorizzazione all’accesso da parte dell’amministrazione finanziaria, sia i verbali stilati durante o al termine della verifica, dovranno contenere una spiegazione puntuale delle circostanze che hanno spinto le autorità a intervenire.

In sostanza, il Fisco dovrà spiegare — nero su bianco — perché ha deciso di entrare nei locali di un’azienda o di uno studio professionale, quali elementi concreti giustificano l’ispezione, e in che modo tali elementi siano proporzionati rispetto al tipo di controllo effettuato.

L’obiettivo è duplice:

  • da un lato, limitare le incursioni arbitrarie o sproporzionate da parte degli ispettori tributari;
  • dall’altro, rendere più trasparenti e tracciabili le motivazioni alla base dei controlli, a tutela non solo dei contribuenti, ma anche della stessa credibilità dell’amministrazione fiscale.

Questo obbligo di motivazione potrebbe inoltre avere un effetto deterrente contro pratiche invasive o eccessivamente discrezionali, contribuendo a ristabilire un clima di fiducia tra imprese e autorità.

La pronuncia della Corte dei diritti europea

La spinta per questo cambiamento arriva direttamente da Strasburgo. Lo scorso febbraio, infatti, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per aver violato l’articolo 8 della Convenzione — quello che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza — a causa dell’insufficiente protezione accordata ai soggetti sottoposti a ispezioni fiscali.

In quella pronuncia, i giudici europei hanno sottolineato come l’ordinamento italiano, così com’era strutturato, non offrisse garanzie efficaci contro possibili abusi, consentendo accessi anche senza motivazioni solide, né possibilità reali di contestazione preventiva.

Nessuna retroattività

Il legislatore italiano, per adeguarsi al pronunciamento della Corte, ha dunque deciso di intervenire, ma con una precisazione importante: le nuove regole non avranno effetto retroattivo. In pratica, solo le ispezioni avviate dopo l’entrata in vigore della legge di conversione del decreto fiscale dovranno rispettare i nuovi criteri di motivazione.

I controlli già compiuti restano validi, così come le eventuali sanzioni o sequestri disposti in quella cornice normativa. Nessuna possibilità, quindi, di intervenire, alla luce delle nuove tutele, le operazioni svolte prima della modifica legislativa.

Una scelta che, se da un lato risponde all’esigenza di stabilità giuridica, dall’altro solleva dubbi tra alcuni osservatori, secondo cui l’assenza di effetti retroattivi rischia di lasciare impuniti eventuali eccessi compiuti nel passato. Resta però il fatto che, almeno per il futuro, la direzione è in linea teorica quella di un maggior equilibrio tra le prerogative dello Stato e i diritti concreti dei cittadini, in linea con i principi sanciti dalle convenzioni internazionali.

Le motivazioni dell’intervento

Secondo i promotori dell’emendamento, si tratta di un intervento che rafforza il principio di proporzionalità, introducendo criteri più rigorosi per legittimare l’ingresso degli ispettori negli spazi privati delle imprese. Ma non tutti vedono la riforma con favore: se le organizzazioni di categoria plaudono all’intento di ridurre l’alea di decisioni unilaterali e improvvisate, alcune sigle sindacali della Guardia di Finanza temono che la nuova normativa possa rallentare e indebolire le attività di contrasto all’evasione.

La misura si inserisce in un quadro politico più ampio, in cui l’esecutivo ha già promosso l’idea di un rapporto più collaborativo tra fisco e contribuenti. Ne è un esempio il cosiddetto “concordato preventivo biennale”, che offre benefici fiscali a chi dichiara in anticipo il proprio reddito. Una strategia che ha diviso l’opinione pubblica e riaperto il confronto sul difficile equilibrio tra garanzie individuali e efficacia delle politiche contro l’evasione.

Le ispezioni, dunque, continueranno, ma con regole più stringenti: senza una motivazione formalmente esplicitata e sufficientemente articolata, le nuove operazioni di controllo potranno essere impugnate davanti al giudice tributario. Un passo verso una maggiore tutela dei diritti, ma anche un banco di prova per l’efficacia del sistema fiscale italiano.

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