Trump, l’Asia e il grande gioco globale della politica internazionale

Il mondo è al centro di un’inedita fase di incertezza e instabilità. Le relazioni tra i Paesi, per come le conoscevamo, iniziano a scricchiolare, lasciando spazio a nuove potenze, nuove dinamiche e nuovi terreni di scontro. Una situazione che ha subìto una rapida svolta con il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, l’inevitabile filtro di ogni discussione e ragionamento sulla politica internazionale.
È partito da qui l’ultimo panel della seconda giornata de Linkiesta Festival 2025. Sul palco, insieme al giornalista de Linkiesta Alessandro Cappelli, Maurizio Molinari e Gianni Vernetti, rispettivamente autori de “La scossa globale” (Rizzoli) e “Il nuovo grande gioco” (Solferino): due nuovi saggi essenziali per analizzare i mutamenti in corso negli scenari internazionali.
L’ordine globale, racconta Molinari, è attualmente «sospeso». Trump «ha infatti trascinato anche l’America all’interno di quel gruppo di potenze che vogliono modificare questo equilibrio. Il problema è che Stati Uniti, Cina e Russia sono tre potenze in competizione, dunque non riescono a creare un nuovo equilibrio». I possibili scenari, spiega il giornalista che ha diretto Repubblica dal 2020 al 2024, sono tre.
Il primo è la creazione di sfere di influenza capaci di convivere, sul modello di quanto accadde dopo la Seconda guerra mondiale. Il secondo è la nascita di nuovi conflitti sempre più accesi e diretti. Il terzo e ultimo scenario, più simile a quello attuale, ci pone davanti a «conflittualità permanenti e sparse in diverse aree, contraddistinte da una serie di guerre – anche commerciali – che creano situazioni di instabilità».
Per questo motivo ci sentiamo avvolti in un’incertezza ormai strutturale, che sembra impossibile da risolvere nel breve-medio periodo. Gianni Vernetti, che dal 2006 al 2008 è stato sottosegretario agli Esteri, ha spiegato che «l’ombelico del mondo si sta spostando nell’Indo-Pacifico, dopo anni in cui eravamo abituati alla centralità di Stati Uniti e Europa».
In Asia, prosegue l’autore de “Il nuovo grande gioco”, «oggi si concentrano al tempo stesso le più grandi crisi e le più grandi opportunità». Un esempio lampante è quello del Giappone, dove «si sta discutendo seriamente di modificare quella che è la Costituzione più pacifista e antimilitarista del mondo. La colpa è della minaccia cinese, delle occupazioni nel mar Cinese Meridionale e di Xi Jinping che – volendosi impossessare di Taiwan, cuore globale della produzione di semiconduttori – si candida a cambiare i confini».
Il nuovo grande gioco della politica internazionale, dice Maurizio Molinari, è inedito per due motivi principali: la moltiplicazione dei campi di battaglia e l’identità tribale dei leader che si scontrano. «La guerra commerciale è un conflitto globale che si basa su trattative personali tra leader, e qui veniamo alla politica tribale. Ma ci sono anche nuovi terreni, come i fondali marini, la corsa allo spazio, l’obiettivo di arrivare sugli asteroidi o altri pianeti per estrarre materie celesti da portare sulla Terra». Senza dimenticare la guerra sotterranea, che va al di là dei tunnel di Hamas: «La Cina – continua Molinari – ha costruito vicino a Pechino la base militare più grande del pianeta, completamente sottoterra. Tutto questo ruota attorno alla tribalità dei leader, che interpretano il potere in forma estremamente identitaria. E questo mette in difficoltà l’Europa».
Vernetti ha poi inquadrato le autocrazie che si oppongono all’Occidente e, più in generale, al mondo libero: dalla Cina alla Russia, passando dall’Iran e dalla Corea del Nord. Pechino, ad esempio, «negli ultimi venticinque anni ha investito più di tutti i Paesi nel settore militare. Russia, Cina e Iran sono sempre più coese. L’Ucraina viene colpita dalla Russia che usa droni di fabbricazione iraniana. C’è una commistione tra queste autocrazie, e il destino del mondo libero dipende soprattutto da loro tre».
Le tensioni globali stanno inevitabilmente impattando anche sulla questione climatica, che sta diventando un’opportunità strategica per creare nuove relazioni potenzialmente pericolose per l’Occidente. Secondo Molinari, «la Cina proteggerà l’India per creare un fronte comune sulla riduzione delle emissioni di gas serra. Cosa significa? Che Pechino sta usando il clima per staccare Nuova Delhi dalle grandi democrazie. Siamo in una realtà in competizione. Non dobbiamo rifugiarci in termini come caos o confusione. Non c’è più nessun Paese in grado di imporsi sugli altri. In un certo senso, è come se stessimo tornando al periodo precedente alla Prima guerra mondiale, con un costante contrasto tra regni e imperi che non riescono a imporsi».
L’India ha però il potenziale per resistere alla sfera d’influenza della Cina. Secondo Vernetti, Nuova Delhi è «la chiave di volta per diversi motivi. Parliamo della più grande democrazia del mondo, che ha saputo portare fuori dalla povertà settecento milioni di esseri umani nel giro di venticinque anni. Entro il 2030, anche in termini di Pil, è destinata a diventare la terza potenza su scala globale. È il Paese più multiconfessionale e multietnico al mondo». Ecco perché l’Europa dovrebbe guardare con più attenzione al ruolo strategico dell’India, un laboratorio di democrazia che sarà sempre più al centro delle discussioni sulla politica internazionale.
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