Abbiamo finito Silent Hill F e non lo abbiamo capito

Silent Hill F è ambientato nel Giappone rurale degli anni '60, il che è già di per sé un elemento molto distintivo. Vestiamo i panni di una studentessa, Hinako Shimizu, che porta addosso il peso delle repressioni sociali e familiari tipiche di quel periodo. In casa assiste al classico dramma di un padre alcolizzato, che riversa la propria frustrazione sulla moglie, mentre lei rimane sospesa tra rabbia e distacco. È una protagonista che incarna bene lo spirito della saga, che vede personaggi apparentemente vuoti, ma in realtà attraversati da conflitti interiori che diventano il cuore del viaggio.
Perché Silent Hill è sempre stato questo, un cammino dentro se stessi, dove realtà, finzione e psiche si mescolano in un grottesco riflesso dell'anima. Silent Hill F riprende questo concetto e lo spinge all'estremo, sfruttando l'ambientazione giapponese non solo come sfondo, ma come lente attraverso cui rielaborare le paure e i traumi. Gli sviluppatori si sono presi delle libertà notevoli nel reinterpretare i simboli e i rituali di quel contesto, e si percepisce chiaramente il gusto per la sperimentazione. Tutto ciò si traduce in un'esperienza dall'andamento imprevedibile, capace di sorprendere con il suo ritmo incostante e volutamente disturbante.
L'idea di fondo sarebbe stata quella di trasmettere il disagio della società e della famiglia giapponese degli anni '60 attraverso gli occhi della protagonista. E in parte il gioco ci riesce: i primi istanti mostrano il rapporto con la figura di riferimento della sorella e quello complicato con il padre, ma questo spunto non viene approfondito subito. Servono diverse ore prima che si inizi a capire davvero che cosa sia successo e quale sia il dolore di Hinako. E anche quando si raggiungono i titoli di coda per la prima volta in circa 8-10 ore, al primo dei cinque finali, non è così semplice capire il tutto se non si è stati attenti ad ogni dettaglio.
Rispetto a Silent Hill 2, dove l'incipit era diretto e comprensibile (la morte della moglie del protagonista era il fulcro da cui tutto prendeva forma), qui ci si trova inizialmente un po' spaesati. Non c'è quella quotidianità concreta che viene lentamente corrosa dal surreale; al contrario, già dai primi momenti la presenza di una forza maligna e "fantastica" è evidente, e questo rende l'esperienza meno sottile e, paradossalmente, meno spaventosa. La paura in Silent Hill è sempre stata alimentata dal dubbio su cosa fosse reale e cosa no: in Silent Hill F questa sfumatura è praticamente assente.
A colmare questo gap narrativo ci pensa soprattutto il diario della protagonista, che diventa un elemento imprescindibile dell'esperienza. Ogni nuovo evento viene annotato e illustrato, arricchendo la vicenda con dettagli che altrimenti andrebbero persi. È qui che emergono i legami tra i personaggi, le motivazioni e i traumi che spiegano cosa stiamo vivendo. Ignorarlo significa perdersi buona parte, se non addirittura tutta la profondità della storia, così come trascurare i documenti che si trovano durante l'esplorazione.
Ma come tutto questo si riversa nel gameplay? La base è quella del survival horror classico con visuale in terza persona, enigmi e risorse limitate. La protagonista si muove in scenari perlopiù lineari, tanto è vero che il primo quarto dell'avventura è incanalato su corridoi stretti, strettissimi. Ed è proprio qui che emerge la particolarità di Silent Hill F, perché il gioco cambia costantemente pelle.
Accanto alle sezioni più tipiche del genere, troviamo combattimenti all'arma bianca più nevralgiche delle aspettative, scene scriptate che mettono la protagonista in contrasto (o in relazione) con figure sempre distanti e ambigue, momenti di esplorazione più libera, come quelle dei grandi edifici in pieno stile Silent Hill, e addirittura sequenze rocambolesche di fuga, in cui non si può combattere ma solo scappare. Ogni mezz'oretta il gioco propone quasi sempre una variazione, una svolta, una nuova situazione che tiene sveglia l'attenzione.
È questa la sua vera forza, l'imprevedibilità. Non si sa mai cosa aspettarsi né quale sarà il prossimo passo della protagonista, specie nella prima metà dell'avventura. Spesso c'è un pretesto concreto, come trovare una chiave o raggiungere un personaggio che sfugge a Hinako, ma il cammino viene costantemente disturbato da eventi strani, molto più "fantasy" che disturbanti, anche se non mancano scene molto forti.
Un aspetto nevralgico dell'esperienza è la divisione fra due dimensioni, tra l'altro molto netta, una presunta realtà sempre contaminata ed una sorta di Otherworld, un piano introspettivo e deformato che rappresenta la parte più sperimentale del gioco. Nella "realtà", Silent Hill F mantiene i tratti più vicini al survival horror classico, sorrette da combattimenti con armi bianche e l'annessa necessità di monitorarne la resistenza, insieme alla gestione attenta delle risorse e dei rischi.
Quando però la protagonista varca la soglia del presunto Otherworld, Silent Hill F cambia. Qui la studentessa impugna una lancia dalla resistenza infinita e viene spinta a eliminare necessariamente ogni nemico sul suo cammino. Di conseguenza, il ritmo si fa più action, le ambientazioni si popolano di più demoni legati alla mitologia giapponese, e il tono vira verso, appunto, un tono più fantastico.
È in questo contrasto che Silent Hill F trova gran parte della sua forza, in un equilibrio insolito tra la tradizione del survival horror, che rassicura i fan affamati di "vecchio" Silent Hill, ed una voglia di spingere la formula all'estremo, contaminandola con elementi quasi da titolo d'azione. Ma proprio qui emergono anche enormi fragilità.
L'elefante nella stanza di Silent Hill F è senza dubbio il sistema di combattimento. Non è semplicemente un'appendice, perché si combatte talmente spesso che ridurlo a elemento secondario sarebbe ingiusto. Il problema è che, pur volendo strizzare l'occhio al genere action, non riesce mai a essere davvero tale. Manca la reattività di un action, manca la piacevolezza negli impatti, manca la precisione negli input: le animazioni hanno un peso marcato e spesso i comandi si "incastrano", con la schivata che parte solo al termine dell'attacco precedente, anziché annullarla.
I colpi sono lenti, i pesanti ancora di più, e gli spazi angusti degli scenari rendono tutto più macchinoso. A questo si aggiunge la gestione della resistenza, che cala in fretta: una sequenza di attacchi sbagliata vi lascia completamente scoperti, e diventa più importante dosare i comandi al millimetro che provare un approccio dinamico. È vero che una schivata perfetta permette di recuperare stamina e persino rallentare il tempo, avvicinando l'esperienza all'action, ma questa commistione di generi non funziona. Ne esce un sistema ibrido, rigido e poco soddisfacente, che rappresenta il tallone d'Achille dell'intera produzione.
La cosa ancora più assurda è che il gioco insiste sui combattimenti, che diventano via via più centrali nel corso dell'avventura. Proprio a causa di questo sistema claudicante mi sono ritrovato spesso a evitare i combattimenti, laddove possibile. Non tanto per risparmiare risorse, che è poi la logica del survival horror, ma proprio per evitare di sentire il feeling di legnosità sulla pelle. Del resto, è il gioco stesso che ti spinge a fuggire piuttosto che affrontare nemici che non offrono alcuna ricompensa concreta, a meno che non presidino un oggetto chiave. Conviene quasi sempre correre, raccogliere ciò che serve e scappare, piuttosto che rischiare di rompere un'arma o subire danni inutili.
A complicare le cose c'è la barra della sanità mentale, che rappresenta una meccanica peculiare: permette di eseguire attacchi speciali, ma fallirli comporta una drastica riduzione della barra stessa. Se questa si esaurisce del tutto, la protagonista entra in uno stato di stress che consuma lentamente la vita fino a quando non si trova un modo per curarsi. A ciò si sommano la gestione delle armi che si rompono (riparabili con appositi kit) e la stamina sempre limitata. Per fortuna, il titolo sembra consapevole della sua natura un po' punitiva e "ricompensa" con un'esplorazione abbastanza generosa, che fornisce oggetti e materiali in misura sufficiente da evitare un eccessivo senso di frustrazione.
Il tutto è condito con un sistema di potenziamento che si intreccia direttamente con l'esplorazione. Gli oggetti recuperati durante l'avventura possono essere utilizzati in due modi: consumati subito per ripristinare vita o resistenza e ottenere piccoli bonus, oppure offerti ai santuari, che fungono anche da luoghi di salvataggio. In cambio delle offerte si ottiene una valuta speciale, la fede, spendibile per acquistare amuleti che conferiscono potenziamenti passivi alla protagonista o migliorare in maniera permanente le statistiche (vita, resistenza, sanità mentale e numero massimo di amuleti equipaggiabili) insieme a specifici oggetti rari chiamati Ema.
Gli stessi amuleti, chiamati Omori, si possono trovare esplorando, ma anche "pescare" dai santuari spendendo fede. Qui il gioco strizza l'occhio ad una meccanica da gacha, anche se in realtà l'estrazione non è casuale ma segue un ordine prestabilito. Sarebbe stato più naturale, e sensato, permettere di selezionare direttamente l'amuleto più adatto al proprio stile.
Non mancano i dubbi anche sul fronte tecnico e visivo. Da una parte la direzione artistica convince, e non poco: l'ambientazione rurale giapponese degli anni '60 è ricostruita con grande cura e ricca di dettagli, con un'estetica che non si limita all'horror classico della serie ma sceglie una strada più peculiare, dominata dal simbolismo floreale e da una forte componente fantasy nipponica. Si tratta di una scelta coraggiosa, un'iconografia che dà subito carattere, che riflette il messaggio narrativo legato al ruolo della donna nel contesto storico-sociale di quel Giappone, ma che allo stesso tempo toglie qualcosa all'impatto horror tradizionale: più che paura, il gioco trasmette un po' d'ansia, anche se spesso sfocia nella frustrazione.
Ci siamo trovati davanti a enigmi da risolvere in fretta mentre un nemico ci inseguiva, e, cosa peggiore, quel nemico spesso ricompariva dopo essere stato battuto, una dinamica che doveva aumentare l'ansia ma finiva per irritare. Sia chiaro, gli acuti nella costruzione dei puzzle ce ne sono, anche se alle volte spunta qualche distrattore antipatico di troppo, che impedisce di vedere la risoluzione in maniera artificiosa.
Dal punto di vista tecnico, nella nostra prova su PlayStation 5, sia in modalità qualità che prestazioni abbiamo riscontrato cali di frame nelle fasi di raccordo e animazioni non sempre convincenti, soprattutto nelle espressioni facciali dei personaggi secondari, che appaiono più freddi di quanto ci si aspetterebbe. Persino l'audio, in particolare alcune musiche, a volte risulta più fastidioso che inquietante.
Silent Hill F sarà disponibile a partire dal 25 settembre 2025 su PS5, Xbox Series X|S e PC al prezzo di 79,99€.
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