Acqua e industria del jeans: ecco il primo benchmark globale sui consumi idrici della tintura indaco

Ottobre 10, 2025 - 22:30
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Acqua e industria del jeans: ecco il primo benchmark globale sui consumi idrici della tintura indaco
jeans

Un rapporto promosso dalla Transformers Foundation e dall’Indigo Council definisce per la prima volta parametri di riferimento misurabili per il consumo idrico nei processi di tintura indaco. Un passo decisivo verso trasparenza, efficienza e responsabilità ambientale nel settore

L’industria del denim, spesso al centro delle critiche per l’elevato impatto idrico e chimico, dispone finalmente di un parametro di riferimento scientificamente validato.

Lo studio A Reference for Water Consumption During Indigo Dyeing (trovate qui il documento), pubblicato nel luglio 2025 dalla Transformers Foundation in collaborazione con l’Indigo Council, segna una svolta per il settore, definendo un benchmark internazionale sui consumi d’acqua nei processi di tintura indaco.

L’indagine, sostenuta tecnicamente da Morrison Textile Machinery, Karl Mayer, bluesign e DyStar, ha coinvolto sette stabilimenti in Cina, Italia, Pakistan e Turchia, rappresentativi delle principali tecnologie di tintura in uso: a fune (rope dyeing) e a lama (slasher dyeing).

Il primo benchmark open source per la tintura indaco

Per decenni, il comparto del denim ha operato senza uno standard credibile e condiviso sui consumi idrici, lasciando spazio a stime approssimative e dichiarazioni ambientali non verificabili. Lo studio colma questa lacuna offrendo un metodo aperto e adattabile, basato su dati reali e verificabili.

Il rapporto definisce tre categorie di consumo – tipico, eccessivo e best-in-class – permettendo di confrontare tecnologie, processi e impatti ambientali.

In media, il consumo d’acqua per lavaggio e risciacquo post-tintura varia tra 15 e 20 litri per chilogrammo di filato nel rope dyeing e tra 10 e 15 litri/kg nel sistema slasher. Tuttavia, l’adozione delle migliori pratiche può ridurre questi valori rispettivamente a 3,85 e 3,40 litri/kg, con un risparmio fino all’80%.

L’efficienza dell’indaco – intesa come percentuale di pigmento che rimane fissato al filato – risulta compresa tra 93-95% per il rope dyeing e 85-94% per il metodo slasher, indicando margini di miglioramento significativi.

Dal greenwashing alla rendicontazione scientifica

Secondo il rapporto, l’assenza di parametri verificabili ha contribuito alla diffusione di affermazioni di sostenibilità poco fondate, spesso utilizzate come strumento di marketing.

In alcuni casi, la narrativa sulla sostenibilità del jeans ha generato numeri arbitrari – come il noto dato dei 1.500 litri per paio di jeans – ormai superato da nuove tecnologie di tintura e lavaggio.

L’introduzione di uno standard condiviso rappresenta quindi una tutela sia per le aziende virtuose sia per i consumatori, poiché consente di distinguere tra miglioramenti reali e dichiarazioni non supportate da evidenze.

L’acqua come indicatore chiave dell’industria tessile

Secondo la Global Fashion Agenda, nel 2015 l’industria della moda ha consumato 79 miliardi di metri cubi d’acqua a livello globale, con gran parte della produzione localizzata in aree già soggette a stress idrico.

Nonostante l’importanza del tema, fino a oggi mancava una stima attendibile dei consumi specifici del denim, un settore che produce tra 3 e 5 miliardi di capi l’anno utilizzando circa 66.000 tonnellate di pigmento indaco.

In risposta a questa crisi, la Science Based Target Network ha lanciato nel 2024 un programma internazionale di corporate water stewardship per favorire la gestione sostenibile della risorsa idrica lungo la filiera.

Il nuovo benchmark elaborato dalla Transformers Foundation si inserisce pienamente in questo contesto, offrendo una base di misurazione che potrà essere integrata nei sistemi di rendicontazione ambientale e negli standard Esg.

Verso una governance globale della sostenibilità tessile

L’iniziativa si colloca in un momento cruciale per il settore moda, che in Europa è chiamato ad applicare la Green Claims Directive, approvata dal Parlamento europeo nel 2024. La direttiva vieta l’uso di termini come eco-friendly o carbon neutral senza dati verificabili e introduce obblighi di trasparenza per le comunicazioni ambientali.

In questo scenario, la disponibilità di benchmark aperti e condivisi diventa un elemento strategico per i produttori di denim, i brand internazionali e i policy maker. Come evidenziato dal rapporto, senza metriche oggettive, anche gli sforzi più sinceri possono essere percepiti come greenwashing, con conseguenze reputazionali e legali.

L’approccio proposto dalla Transformers Foundation non impone la scelta di una tecnologia di tintura rispetto a un’altra, ma promuove una cultura della misurazione e del miglioramento continuo.

Attraverso monitoraggi accurati, controlli di processo e una gestione efficiente dell’acqua, le imprese possono incrementare l’efficienza produttiva e ridurre al contempo l’impatto ambientale.

Il benchmark non rappresenta un punto d’arrivo, ma una base di confronto per le innovazioni future: un riferimento condiviso per valutare tecnologie, processi e pratiche chimiche lungo l’intera filiera del denim.

Una filiera che cambia volto

La trasformazione della tintura indaco si inserisce in un processo più ampio di sostenibilità del tessile europeo, in cui la tracciabilità dei processi e la misurabilità degli impatti diventano prerequisiti per l’accesso ai mercati e agli investimenti.

In un settore dove l’acqua è stata per decenni sinonimo di spreco, il nuovo studio propone un cambio di paradigma: da risorsa consumata a risorsa gestita.

La sostenibilità del denim, oggi, passa dalla quantificazione scientifica e dalla condivisione dei dati – un approccio che, come dimostra questo studio, può trasformare anche una fibra simbolo della tradizione in un laboratorio di innovazione ambientale.

Crediti immagine: Depositphotos

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Aurora MagniAurora Magni: una laurea in filosofia e una passione per i materiali e l'innovazione nell'industria tessile e della moda; è presidente e cofondatrice della società di ricerca e consulenza Blumine, insegna Sostenibilità dei sistemi industriali alla Liuc di Castellanza e collabora con università e centri ricerca. Giornalista, ha in attivo studi e pubblicazioni sulla sostenibilità | Linkedin

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