Calenda invita Schlein e Renzi ad andare in Ucraina, e a marzo apre il suo partito a chi vorrà costruire l’alternativa

Carlo Calenda ha invitato, dal palco di Linkiesta Festival, Elly Schlein e Matteo Renzi ad andare con lui a febbraio in Ucraina, in occasione del quarto anniversario dell’invasione della Russia, perché reputa indegno che in quattro anni i due leader del centrosinistra, degli altri non ne parla nemmeno, non abbiano sentito il dovere morale di prendere il treno e andare a portare la loro solidarietà al popolo che resiste: «Non capisco come persone che parlano continuamente di fascismo e antifascismo non si prendano il disturbo di andare a Kyjiv. Il fascismo oggi è quello di Putin». Calenda ha aggiunto che non si siederà a nessun tavolo delle alleanze con chi non è mai andato in Ucraina.
La seconda sfida lanciata da Calenda dal palco di Linkiesta Festival è una grande iniziativa politica convocata per marzo, aperta a tutte le forze che combattono il bipopulismo per costruire la vera alternativa ai due attuali poli di destra e sinistra: «Se Paolo Gentiloni che è stato un grande premier o Pina Picierno che fa grandi battaglie contro la propaganda russa verranno io sarò felice, e se vorranno fare i leader io farò un passo indietro», ha detto Calenda, prima di prevedere che i riformisti non accoglieranno la sua proposta.
Calenda crede così tanto nell’Ucraina da essersela tatuata sul polso; letteralmente. Tra la mano e l’avambraccio sinistro, il leader di Azione si è fatto imprimere con l’inchiostro il Tryzub, il tridente simbolo dello stemma nazionale ucraino, diventato nel tempo monito di libertà e indipendenza dalla Russia. «Mi piacciono i tatuaggi, ne ho pochi e sono legati alle cose del mio cuore. E l’Ucraina è una cosa del mio cuore. Sono stato là e ho visto i ragazzi che prendono in mano un fucile per difendere la loro libertà. In questo c’è una grandezza morale che noi abbiamo perduto. Con questo tatuaggio voglio ribadire che sono con gli ucraini fino alla fine», spiega Calenda sul palco dei Bagni Misteriosi intervenendo nella seconda giornata de Linkiesta Festival.
Ci crede così tanto, da voler portare nuovamente i suoi figli in Ucraina, a febbraio: «Voglio che sappiano che vicino a noi vivono persone che sanno cos’è la libertà. Parola di cui abusiamo molto rispetto alle stupidaggini che accadono in Italia. Abbiamo perso il senso di cosa sia la libertà collettiva, premessa della libertà individuale: la determinazione del popolo di non essere soggiogato. Un concetto che sfugge perché non abbiamo la memoria storica, ma è un tema presentissimo. Venti anni fa, il settantaquattro per cento della popolazione mondiale viveva in una democrazia, oggi è il ventiquattro per cento. Le democrazie non sono in via d’estinzione, ma la libertà che abbiamo ereditato senza combattere è una libertà minoritaria. Voglio insegnare ai miei figli che c’è qualcosa che vale più di loro, questa libertà collettiva, e lo si può capire solamente lì. Io mi siedo e parlo di alleanze solo con i leader che hanno alzato le chiappe e sono andati in Ucraina».
Il riferimento è alla segreteria del Pd Elly Schlein e al leader di Italia Viva Matteo Renzi, ospite della prima giornata de Linkiesta Festival in cui ha parlato del progetto politico della casa riformista. Secondo il leader di Azione, Casa riformista è poco credibile perché costruita più su accordi tra gruppi dirigenti che su una linea politica condivisa: «Se la chiami così e poi appoggi candidati che col riformismo non hanno nulla a che fare, quella casa non esiste. È una parola messa lì per tenere insieme cose che non stanno insieme.». Calenda ha ribadito di non voler provare a fare mai più un partito con Renzi perché è stata una «esperienza complessa» e di essere rimasto sempre nella stessa posizione politica, senza aver mai cambiato fronte.
«Non capisco le persone che tutti i giorni parlano di resistenza e antifascismo e in quattro anni non hanno mai trovato il tempo di prendere un treno per andare in Ucraina. Non è un dettaglio trascurabile: l’unico vero rischio di fascismo oggi si chiama Vladimir Putin». Il problema secondo il leader di Azione non è solo il dittatore russo, ma la cultura imperiale e coloniale russa; una narrazione che viene propagandata in Italia. «Assisto a questi dibattiti sconci in televisione che parlano degli ucraini come se fossero dei burattini della Nato. Gli ucraini sono persone che più di tutti noi desideravano la pace. Marco Travaglio, Lucio Caracciolo, Jeffrey Sachs non capiscono un dettaglio: gli ucraini non vogliono stare più sotto ai russi. Hanno sperimentato l’Holodomor, le vessazioni, la russificazione. Le persone che tutte le sere li dileggiano, non sono degne di allacciargli le scarpe. Nel nostro Paese è persistente una distorsione passata attraverso la storia del Partito comunista italiano secondo cui la Russia non è una potenza imperiale, e che gli ucraini devono rimanere sotto la sfera d’influenza dei tempi della guerra fredda».
Calenda ammette che dovremo fare i conti con la Russia, che ci piaccia o meno, ma il Cremlino si contiene «solo se si è forti. Se si è deboli ci si finisce contro. I cieli europei vanno sigillati, abbiamo bisogno di armamenti moderni. Parliamo da mesi di “muro di droni” senza mai aver fatto nulla. In Ucraina ci sono duecento aziende che li producono e nessuno è andato lì a parlare con loro».
Per Calenda la resistenza ucraina ci mette di fronte alla nostra vigliaccheria «e questo genera una grande rabbia perché ci confronta con qualcosa che rifiutiamo: c’è una dimensione dell’etica, intesa come ricerca della giustizia e difesa della libertà, che va oltre noi stessi, e questo noi non ce la facciamo ad accettarlo. Viviamo in un presente in cui siamo essenzialmente orientati a essere intrattenuti e a consumare; quella dimensione storica ci fa sentire piccoli, e la reazione è negarci. È una rabbia che ci porta a vedere le cose come ci conviene, per sentirci comodi. Ma non è la prima volta che succede: è successo identicamente in Francia e in Inghilterra nel 1938. Esiste però una responsabilità di chi capisce che siamo su un crinale: chiamiamoli volenterosi, usando il linguaggio della politica internazionale, dovrebbero stare insieme per combattere questo».
Secondo il leader di Azione, il nostro Paese è un terreno fertile per questa narrazione a causa della strategia della tensione e gli anni di piombo del terrorismo che hanno accresciuto una certa sfiducia degli italiani verso la Nato e gli Stati Uniti. «La strategia della tensione va riconosciuta, c’è stata, ma non vuol dire che nel blocco comunista saremmo stati meglio».
Calenda ha invitato ufficialmente la segretaria del Partito democratico Elly Schlein, oltre che Renzi, ad andare a Kyjiv in occasione dell’anniversario del quarto anno dall’invasione russa, il 24 febbraio 2026. «Solo dopo mi posso sedere a parlare di alleanze. Non sono interessato a costruire un’alternativa che consegni questo paese a Conte, Bonelli e Fratoianni. Sono nemici dell’Occidente. La drammaticità storica richiede atti di coraggio: o i riformisti hanno il coraggio di andare per l’alto mare aperto e costruire un’area liberaldemocratica che è prima di tutto tutela della libertà collettiva attraverso la forza, o non ce l’hanno».
Per Calenda, bisogna costruire invece un’alternativa vera contro il bipopulismo perché «Conte non è migliore di Salvini e i grillini non sono migliori dei leghisti. Il Movimento 5 stelle è l’origine dei problemi della sinistra italiana. Il Partito democratico che aveva una cultura di governo e responsabilità è completamente sbandato e incapace di prendere una linea netta su qualsiasi cosa».
«La verità è che non siamo all’otto per cento. Altimenti ci sarebbe la fila fuori» di politici pronti a entrare. Per Calenda chi si riconosce in questo progetto deve entrare adesso in Azione e iniziare a girare il Paese, parlare con le persone, costruire consenso. Calenda si rivolge anche ai riformisti dentro il Partito democratico, come Paolo Gentiloni e Pina Picierno. «Gentiloni, sei stato Presidente del Consiglio: non c’entri niente con questa roba qui. Vuoi fare il leader? Vieni e fallo». A Picierno, Calenda riconosce la coerenza nel contrasto alla propaganda filorussa, osservando però che quelle stesse posizioni trovano poco riscontro nel suo partito.
Per il leader di Azione non ha senso discutere all’infinito di alleanze, campo largo o geometrie interne se poi non si affrontano i temi reali del paese. «Se restate sulle gradinate a commentare le alleanze, il campo largo, gli incastri, non succede niente. La politica cambia quando ci entrate voi, quando ci mettete la faccia e il tempo. Altrimenti restiamo fermi esattamente dove siamo».
Calenda definisce la sinistra «moraleggiante», incapace di affrontare questioni complesse perché non ha la coesione per farlo. E al governo il campo largo si comporterebbe allo stesso modo, indipendentemente da supposte linee rosse che né Conte, né Fratoianni e Bonelli rispetterebbero. Questo riguarda tutti i temi: dalla questione nucleare, alla lotta alla criminalità, fino all’incapacità di affrontare la crisi industriale. «Non esiste un’agenda che tenga insieme questi punti. Io vorrei che si costruisse un’area liberale, repubblicana, popolare e pragmatica, capace di condizionare la formazione del governo. Se vi sembra impossibile, pensate a quanto sembrava impossibile che l’Ucraina potesse resistere quattro anni contro la Russia. Zelensky avrebbe potuto fuggire, invece ha scelto di resistere. Noi, invece, abbiamo paura di fare qualcosa di simile. Il nostro “voto utile” non è mai stato davvero utile negli ultimi trent’anni».
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