Come il regime iraniano strumentalizza le figure religiose per restare al potere

Ottobre 3, 2025 - 06:00
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Come il regime iraniano strumentalizza le figure religiose per restare al potere

Le classi dirigenti di ogni epoca e luogo usano da sempre i miti e la religione a scopi politici. Prendono in prestito figure dell’immaginario collettivo che ammantano di simbolismi sapientemente adattati al presente. Fa lo stesso da decenni anche il regime degli Ayatollah in Iran, ormai privo di ogni legittimità agli occhi dei suoi cittadini. Plasmare l’identità collettiva e reprimere il dissenso con il folklore è la cifra del regime iraniano sin dalla sua nascita, nel 1979. Secondo la dottrina della “tutela del giurista” (velayat-e faqih), la guida suprema del Paese sarebbe la diretta proiezione del divino, l’imam nascosto. Una figura che la tradizione islamica identifica come inviato da Dio alla guida dell’umanità.

Una narrazione perpretrata dal defunto Ruhollah Khomeini e poi da Ali Khamenei. «Questa pretesa teologica eleva l’autorità della guida suprema al di sopra del controllo umano o della responsabilità istituzionale», spiega Saeid Golkar, professore associato presso il dipartimento di scienze politiche dell’Università del tennessee a Chattanooga, in un articolo su New Lines. E, di conseguenza, il mohareb o colui che muove la guerra, non è solo un dissidente ma un blasfemo: «In definitiva, mitologia e folklore creano una grammatica nascosta che collega la cultura all’azione politica», dice Golkar.

Un esempio concreto della macchina dell’indottrinamento che l’Iran ha messo in atto è la strumentalizzazione del martirio dell’Imam Hussein, avvenuto nel Medioevo. Figura di spicco dell’Islam sciita, si ribellò al califfo sunnita Yazid e fu ucciso nel 680 nella battaglia di Karbala, l’attuale Iraq. Da qui lo slogan «Ogni giorno è Ashura e ogni luogo è Karbala», a indicare il valore del sacrificio per la patria, in voga negli anni Settanta nella lotta contro lo Scià di Persia, considerato corrotto e ingiusto. In modo speculare, gli oppositori del regime oggi vengono raffigurati come dei moderni Yazid.

La cultura del martirio come atto di devozione istituzionalizzato ha avuto un ruolo essenziale durante la guerra Iran-Iraq del 1980-88, mentre oggi è presente all’interno del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (Irgc, i Pasdaran) e della milizia Basij. Per divulgare al Paese il valore dell’atto estremo: «Il regime eleva i soldati caduti e conferisce loro una divinità eterna, affiggendo immagini di loro sorridenti e contenti, circondati da aureole, su grandi cartelloni pubblicitari nelle piazze pubbliche di tutto il Paese», spiega Golkar.

Un secondo filone di miti è quello legato alla Moschea di Jamkaran. Secondo la leggenda, fu costruita per volere dell’imam nascosto che apparve in sogno a un abitante. Da qui la credenza che i biglietti di desideri gettati nel “pozzo delle richieste” avrebbero ricevuto risposta. In tempi moderni, i fanatici del regime iniziarono a propagandare che lo stesso Khamenei fosse guidato dai consigli dell’imam, ragione per cui chiunque contrasti le sue decisioni sta sfidando di riflesso anche la sua guida.

In tempi di crisi, il regime si appella anche ai miti pre-islamici, da cui in precedenza si era sempre discostato. Come il conflitto di dodici giorni contro Israele del giugno scorso, quando per le strade del Paese sono comparsi cartelloni pubblicitari correlati alla mitologia. La figura più abusata è l’arciere Arash Kanmadar, tratta dai testi dello Zoroastrismo. La leggenda narra di un combattente valoroso che, salito sul monte Damavand, muore scoccando una freccia, la quale percorre una lunghissima distanza e ridefinisce i confini fra Iran e Turan. Oggi quell’arciere ha in mano dei missili diretti verso Israele.

Gli stratagemmi della narrazione governativa sono ormai noti alla gran parte della popolazione, tanto che questa ha iniziato a dotarsi dei suoi miti per delegittimarla. All’indomani della repressione di proteste di massa legate al Movimento Verde del 2009, le proteste per il carburante del 2019 o le rivolte degli ultimi anni seguite alla morte di Mahsa Amini, i giovani iraniani hanno rispolverato la storia del re Zahak. Nella mitologia persiana, è il demone malevolo della tempesta, che ha preso il potere tramite due baci del diavolo sulle spalle, da cui poi nasceranno dei serpenti che si nutrono del cervello dei giovani. In seguito, verrà sconfitto da Kaveh il Fabbro, simbolo della lotta della gente contro la tirannia. Nelle vignette ritratte lungo le vie del Paese, il volto di Zahak è presto trasfigurato in quello di Khamenei con a fianco lo slogan «Khamenei lo Zahak, ti porteremo giù nella tomba». 

Oggi la dittatura iraniana sembra aggrapparsi al potere con lo stesso equilibrio traballante dei mitologici davalpa, creature con corde e cinghie al posto delle gambe, usate per aggrapparsi alla gente come parassiti. La corda rappresenta la religione mentre la cinghia la repressione violenta, in sostituzione del contratto sociale che regge ogni legittimazione democratica.

La costruzione del sistema di potere degli Ayatollah ha richiesto anni di infiltrazione capillare sul territorio, con corpi clericali e milizie che controllano ogni strato della società, dalle moschee alle fondazioni, lasciando impronte anche su libri e reti televisive. Anche con agenti in borghese.

L’Irgc è il principale braccio coercitivo insieme al Basij, una forza paramilitare volontaria. Nei suoi oltre cinquantamila uffici recluta volontari estremisti e viene ricompensata dal regime con stipendi, alloggi e istruzione per i figli.  È così che: «la lealtà diventa una scala di mobilità. In molte città, interi quartieri vengono costruiti per le famiglie delle forze di sicurezza, come nel comune di Shahid Mahalati, a nord di Teheran. Il regime trasforma così la repressione in un sistema di incentivi», spiega Golkar.

Una gamba regge l’altra, un sistema compensa l’altro: è questo che rende il regime flessibile alle crisi. Ma quando una delle due è troppo debole, rischia la rottura: la religione non raccoglie più orde di fedeli devoti e la violenza sta generando defezioni e risentimento pubblico sempre più difficili da silenziare.

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Redazione Redazione Eventi e News