Difesa, l’Ucraina rimane la priorità per l’Ue. Ma l’Ungheria blocca gli aiuti

Bruxelles – L’Ue si stringe intorno all’Ucraina, almeno a parole. I titolari della Difesa degli Stati membri hanno reiterato il loro sostegno a Kiev, con la consueta eccezione dell’Ungheria. Per la frustrazione dell’Alta rappresentante Kaja Kallas e delle altre 26 cancellerie, Budapest continua a bloccare l’esborso degli aiuti al Paese aggredito, mentre le iniziative diplomatiche delle ultime settimane sembrano finite su un binario morto.
Erano tre i temi principali sul tavolo dei ministri della Difesa dei Ventisette, riunitisi oggi (29 agosto) a Copenaghen per una riunione informale del Consiglio. In primo piano l’Ucraina. “La Russia risponde agli sforzi di pace coi missili”: ha esordito con l’ennesima frecciata a Mosca, Kaja Kallas, presentandosi alla conferenza stampa al termine della riunione accanto al padrone di casa, il danese Troels Lund Poulsen.
Lo stallo nelle trattative sulla fine della guerra, dice l’Alta rappresentante, si deve esclusivamente all’inquilino del Cremlino: Volodymyr Zelensky vuole la pace, Vladimir Putin no. Mentre si svolgeva l’informale in Danimarca, il presidente ucraino ha lanciato un nuovo ultimatum al suo omologo russo, dandogli tempo fino a lunedì (primo settembre) per accettare l’offerta di un bilaterale tra i leader dei Paesi belligeranti messa sul piatto da Donald Trump.
La capa della diplomazia comunitaria è tornata sull’attacco aereo su Kiev lanciato dalla Federazione nelle prime ore di ieri, in cui è stata colpita anche la sede della delegazione Ue. Attacco condannato fermamente dagli Stati membri, ma non tutti. Come al solito, il bastian contrario è l’Ungheria di Viktor Orbán, sfilatasi dalla dichiarazione con cui le altre 26 cancellerie (più il Regno Unito) hanno deplorato il raid notturno.
A spazientire maggiormente Kallas, tuttavia, non è quest’ultimo sgarbo diplomatico di Budapest quanto, piuttosto, il fatto che il premier magiaro stia continuando a tenere in ostaggio circa 6,6 miliardi di euro in dotazione allo Strumento europeo per la pace (Epf), che serve a rimborsare i Ventisette quando questi forniscono armi a Kiev.
“Gli aiuti all’Ucraina salvano vite umane”, ha rimarcato, scandendo che “il blocco continuo dell’Epf non è giustificato” e ricordando che sono state offerte varie opzioni al governo ungherese. L’Epf potrebbe anche sostenere l’iniziativa Purl della Nato, con cui vengono finanziati gli acquisti di armi made in Usa per l’Ucraina nel contesto del ribilanciamento complessivo degli oneri tra lo zio Sam e gli altri membri dell’Alleanza, come sancito al summit dell’Aia dello scorso giugno.
Sul piatto dei ministri oggi c’era anche il tema scottante delle garanzie di sicurezza, che i membri della coalizione dei volenterosi stanno cercando di definire nei dettagli operativi. L’unica cosa certa, a questo punto, è che Washington non manderà soldati sul campo ma si limiterà a fornire supporto di altro tipo (intelligence e copertura aerea, ad esempio), mentre gli europei “dovranno fare la parte del leone”.
Tra le garanzie che può offrire l’Europa, ragiona l’ex premier estone, ci sono le missioni militari come l’Eumam, tramite cui sono già stati formati oltre 80mila soldati ucraini in 24 Stati membri. Kallas ha accolto favorevolmente “l’ampio sostegno espresso oggi per ampliare il mandato” della missione, suggerendo che finita la guerra “dovremo essere pronti a fare di più”, incluso mandare istruttori Ue nelle accademie di Kiev.
Allo stesso tempo, osserva, vanno aumentate le sinergie con l’industria bellica ucraina: investendo maggiormente nel Paese, e aprendo linee di produzione ucraine sul territorio dell’Unione. Cioè, sottolinea Poulsen, quanto sta facendo Copenaghen col suo “modello danese 2.0“: se in un primo momento la Danimarca ha investito direttamente in Ucraina (modello 1.0), “auspicabilmente tra qualche settimana inviteremo la prima azienda della difesa ucraina ad avviare la produzione qui“, ha annunciato il ministro.
Un’altra parte della discussione si è focalizzata intorno ai nove settori prioritari della produzione militare individuati dai leader al Consiglio europeo di giugno, tra cui aeronautica, difesa aerea, missili, droni e munizioni. Il tema centrale, spiega l’Alta rappresentante, è “colmare le lacune più urgenti in termini di capacità” e farlo in maniera coordinata: altrimenti, ammonisce, la spesa record delle cancellerie nel riarmo sarà vana. E richiama la Commissione al suo impegno di presentare a ottobre la roadmap per la strategia Readiness 2030.
Infine, i responsabili della Difesa hanno affrontato la questione delle missioni europee nel mondo. Dai Balcani occidentali al Mar Rosso all’Oceano Indiano, dice Kallas, si tratta di operazioni “vitali per la sicurezza globale”. Da stasera sarà il turno dei ministri degli Esteri, che dovranno affrontare anche altri dossier scottanti tra cui l’utilizzo degli asset russi congelati, il ripristino delle sanzioni contro l’Iran e la sanguinosa escalation della crisi mediorientale.
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