Dying Light: The Beast Provato – Gamescom 2025

Agosto 25, 2025 - 01:30
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Dying Light: The Beast Provato – Gamescom 2025

Dying Light The Beast Provato parkour

C'è una strana, quasi surreale, sensazione nel sedersi a provare Dying Light: The Beast qui, nel caos calcolato della Gamescom. In un'altra linea temporale, una che non ha conosciuto il comunicato stampa di poche settimane fa, a quest'ora saremmo probabilmente a casa, intenti a esplorare la versione definitiva del gioco.

Il rinvio, giunto a ridosso della data di uscita originale, è stata una doccia fredda che ha trasformato l'entusiasmo in un dubbio sottile e velenoso. Perché fermare tutto all'ultimo miglio? Un rinvio così tardivo può essere il sintomo di problemi profondi o, al contrario, l'atto di coraggio di uno sviluppatore, Techland, che preferisce l'ira dei fan oggi alla loro delusione domani.

Qualunque sia la verità, questo slittamento ha caricato la prova di Colonia di un peso enorme. Non è più una semplice anteprima, è un esame. Un'occasione per guardare la "Bestia" dritta negli occhi e capire se il tempo extra le servirà per affilare gli artigli o solo per leccarsi delle ferite impreviste.

Il DNA di Dying Light è sempre stato un equilibrio miracoloso tra la libertà adrenalinica della danza acrobatica sui tetti e la claustrofobia brutale del combattimento corpo a corpo, il tutto scandito dal metronomo spietato del ciclo giorno/notte.

La promessa di "The Beast" era quella di spingere questo equilibrio verso un nuovo estremo, di introdurre un elemento narrativo e di gameplay ancora più oscuro e primordiale, forse legato a una nuova mutazione del virus o a una fazione che ha deciso di abbracciarne il lato più selvaggio. Dying Light The Beast provato

Il timore, dopo il rinvio, era che questa ambizione si fosse rivelata troppo grande, che l'idea fosse più affascinante sulla carta che funzionale nel concreto. Era quindi con un misto di scetticismo e speranza che ci siamo avvicinati alla postazione di gioco, pronti a giudicare non solo il prodotto, ma anche la decisione che lo ha tenuto lontano dai nostri schermi.

E la demo, densa e spietata, che abbiamo affrontato qui nello stand di Techland, ha iniziato a fornire delle risposte tanto violente quanto inaspettate, dipingendo il quadro di un'esperienza che forse, davvero, aveva bisogno di restare ancora un po' nell'ombra per poter diventare ancora più terrificante.

Dying Light: The Beast Provato - Gamescom 2025

Nel culmine di quella che è stata la mia Gamescom, il tramonto degli appuntamenti era segnato da un’ora intera passata in compagnia di Dying Light: The Beast. Sessanta minuti dentro Castor Woods, nei panni di Kyle Crane – lo storico protagonista del primo capitolo, tornato a sorpresa come volto centrale della serie.

Manca davvero poco all’uscita e le sensazioni, lo dico subito, sono rimaste in gran parte positive. Già lo scorso anno avevo trovato questo progetto più convincente del sequel, e la prova della build definitiva non ha fatto che confermare quell’impressione.

Certo, qualche dubbio resta, ma è fisiologico: l’hands on, più che eliminare tutte le domande, ha rafforzato la convinzione che Techland stia lavorando a un ritorno alle origini molto più solido del previsto.

La missione che ho potuto affrontare era secondaria, ma mi lasciava libero di esplorare una porzione di Castor Woods. E lì il cuore di Dying Light è tornato a battere forte: il parkour. Saltare tra i tetti della cittadella, aggrapparsi, scivolare, librarsi nell’aria: una danza urbana che già conosciamo, ma che qui viene arricchita da qualche trovata intelligente. Dying Light The Beast provato zombie

Su tutte, quei pali piantati agli angoli degli edifici, pensati per coprire distanze altrimenti proibitive. Dettagli che rendono il flusso della corsa più fluido, più “perfetto”, restituendo la sensazione di un parkour finalmente completo.

Se il movimento di Crane è pressoché impeccabile, la vera sorpresa è il combattimento. Techland ha deciso di tornare al passato, riportando in primo piano il corpo a corpo del primo capitolo. La differenza, però, non è solo meccanica: è di atmosfera.

Qui i nemici fanno paura. Tornano a essere minaccia, terrore, presenza che condiziona ogni scelta. Nel secondo capitolo gli zombie erano ridotti a carne da macello, qui invece ho faticato a gestire più di due nemici alla volta. L’ansia di allertare una creatura più pericolosa mi ha persino spinto a cambiare percorso, a evitare il confronto, a scappare.

È la sensazione che ti aspetti da un Dying Light: quella di non avere mai il pieno controllo della situazione. Di notte, poi, la tensione raddoppia. Ogni esplorazione diventa una partita a scacchi con la paura.

La missione secondaria testata era semplice: riportare l’acqua al centro cittadino. Ma anche qui emergono dettagli che raccontano un mondo più coerente.

C’è un quartier generale, un hub che ricorda quello del primo capitolo, da cui partire per accettare incarichi. C’è un problema tecnico – l’impianto idrico compromesso – che costringe a scendere nelle fogne. Dying Light The Beast provato zombie notte

E c’è una famiglia da salvare, con un piccolo particolare: non basta liberarli, bisogna anche aprire la strada, garantire loro una fuga sicura.

È quel tocco di verosimiglianza che spesso manca nei videogiochi e che invece qui dà spessore a un’azione che altrimenti sarebbe stata solo routine.

Il combat system supporta bene questa filosofia. Diverse armi melee, una sola arma da fuoco (che per fortuna non è mai indispensabile), tutte intercambiabili e riparabili. Ogni colpo ha un feedback netto, credibile: senti il peso dell’attacco, la resistenza dell’avversario, la differenza tra nemici piccoli e nemici giganteschi.

È un equilibrio che restituisce fisicità allo scontro, un senso di impatto che era andato un po’ perso.

Eppure, c’è un paradosso. Continuo a citare il primo Dying Light, perché è inevitabile. Quel gioco funzionava benissimo, al punto che ancora oggi viene consigliato a chiunque voglia avvicinarsi alla serie. Il secondo, pur non essendo un disastro, ha scelto di cambiare strada su alcuni elementi chiave, finendo per deludere molti fan (me compreso).

Ecco perché The Beast non sembra tanto un passo pigro verso il passato, quanto piuttosto un “reset”: la volontà di riportare la saga allo status quo, per attrarre nuovi giocatori e far tornare quelli che avevano voltato le spalle.

La domanda però resta: quanto durerà questo effetto “ritorno alle origini” prima di diventare noioso? La scrittura saprà reggere dall’inizio alla fine, o cadrà negli stessi inciampi del sequel? Sono interrogativi che non posso sciogliere con un’ora di prova. Dying Light The Beast provato tempo

Quello che posso dire, però, è che Dying Light: The Beast mi ha convinto che Techland sia tornata sulla strada giusta. L’atmosfera è di nuovo quella giusta: oscura, tesa, spietata.

Il gameplay ha ritrovato il suo equilibrio tra parkour e paura. Il combattimento ha ripreso spessore. Se queste premesse saranno mantenute, tra meno di un mese potremmo trovarci davanti al vero erede del primo Dying Light. E questa, per i fan della saga, non è affatto una promessa da poco.

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