Ecosistemi e ghiacciai mostrano segni di collasso anticipato
Il clima cambia più velocemente di quanto si pensasse. Secondo due nuove ricerche, cui hanno contribuito due atenei italiani, pubblicate sulle riviste Science e Nature Climate Change, la resilienza del Pianeta – dalle praterie alpine ai ghiacciai – si sta rivelando molto più fragile del previsto
Sebbene molti ecosistemi siano in grado di sopportare periodi moderati di siccità, anni consecutivi di estrema aridità spingono le piante oltre il punto di non ritorno.
È quanto emerge dallo studio Drought intensity and duration interact to magnify losses in primary productivity, pubblicato su Science da un team internazionale coordinato da Melinda D. Smith e Timothy Ohlert (Colorado State University) e condotto in sei continenti da 176 ricercatori, tra cui l’Università di Parma, unico ateneo italiano coinvolto.
La ricerca mostra che, dopo quattro anni consecutivi di siccità estrema, la riduzione nella crescita delle piante è 2,5 volte maggiore rispetto a quella provocata da eventi moderati.
In altre parole, le piante non riescono più a recuperare: la capacità fotosintetica crolla, la produzione di biomassa diminuisce e gli ecosistemi perdono la funzione di assorbire carbonio.
“In passato i ricercatori avevano difficoltà a stimare le conseguenze effettive delle siccità estreme, per la loro rarità. Ora sappiamo che gli effetti cumulativi sono molto più devastanti” spiega Melinda Smith.
Il progetto, parte dell’International Drought Experiment, ha ricreato artificialmente le condizioni di aridità estrema in 74 siti naturali in tutto il mondo, grazie a speciali tettoie che riducono le precipitazioni di una percentuale statisticamente estrema per ciascun ecosistema.
“Il nostro sito sperimentale al Passo Gavia, nel Parco Nazionale dello Stelvio, ci ha permesso di osservare come anche gli ecosistemi alpini reagiscano con difficoltà agli stress idrici, pur partendo da condizioni fredde e umide” racconta Michele Carbognani, docente di Botanica ambientale all’Università di Parma.
La lezione è chiara: la resilienza delle praterie e degli arbusteti – che insieme coprono metà delle terre emerse e stoccano oltre il 30% del carbonio organico terrestre – non è infinita.
Il rischio è che le siccità prolungate trasformino questi ecosistemi da serbatoi di carbonio a fonti di emissioni.
Ghiacciai in ritirata: la resilienza ha una scadenza
Dall’alta quota arriva un altro segnale preoccupante. Uno studio pubblicato su Nature Climate Change, coordinato dall’Institute of Science and Technology Austria (Ista) in collaborazione con il Cnr-Isp e il Cnr-Irsa, mostra che i ghiacciai del Pianeta stanno per perdere la loro capacità naturale di auto-raffreddarsi.
Analizzando dati provenienti da 350 stazioni meteorologiche su 62 ghiacciai, raccolti in 169 campagne estive, i ricercatori hanno scoperto che entro il prossimo decennio i ghiacciai raggiungeranno il culmine della loro capacità di mitigare il calore.
Dopo quel punto, il processo di fusione accelererà in modo esponenziale. “I ghiacciai tendono a raffreddare il proprio microclima, ma questo effetto si esaurirà prima della metà del secolo, accelerando il loro declino” spiega Franco Salerno, ricercatore del Cnr-Isp.
Il fenomeno, chiamato decoupling, indica il disaccoppiamento tra la temperatura superficiale del ghiaccio e quella dell’ambiente circostante. Quando questo equilibrio si spezza, il ghiaccio non riesce più a proteggersi dal riscaldamento.
“Serve ampliare le reti di osservazione, soprattutto nelle regioni montane meno monitorate. I ghiacciai sono risorse idriche cruciali e la loro scomparsa avrà impatti a cascata sugli ecosistemi e sulla società” sottolinea Nicolas Guyennon, ricercatore del Cnr-Irsa.
Una doppia allerta per il Pianeta
Le due ricerche – diverse per scala e soggetto, ma convergenti nel messaggio – descrivono un futuro più severo del previsto: ecosistemi erbacei e ghiacciai, due pilastri del ciclo del carbonio e dell’acqua, stanno mostrando limiti di adattamento più precoci e drastici.
Secondo le proiezioni climatiche, gli eventi siccitosi estremi e la fusione accelerata dei ghiacciai potrebbero interagire in un ciclo di retroazione negativa: meno vegetazione significa meno umidità atmosferica, più calore e quindi maggiore fusione dei ghiacci; meno ghiaccio significa meno acqua per gli ecosistemi e, dunque, ancora più siccità.
Un cortocircuito climatico che richiede risposte sistemiche, non solo mitigazione ma anche strategie di adattamento ecologico, idrico e agricolo.
“Esperimenti pluriennali e multisito come questi – conclude Alessandro Petraglia, docente di Botanica e Cambiamenti climatici globali all’Università di Parma – sono fondamentali per capire come le nostre scelte di oggi influenzeranno gli ecosistemi di domani. I segnali d’allarme ci sono già tutti. Ora servono politiche capaci di ascoltarli“.
Crediti immagine: Depositphotos
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