Gaza, la sinistra e il dilemma del carrello

L’attonita e stizzita reazione di una gran parte dell’opinione pubblica di sinistra alla notizia dell’accordo tra Israele e Hamas, con Donald Trump deus ex machina, è spiegata benissimo dal lungo articolo di Alessandro Baricco diffuso la stessa mattina (tu vedi le coincidenze della grande storia) e dalla replica di Michele Serra.
Eh, niente: ci sono settantenni cui la nostalgia canaglia scava nel profondo, quella bandiera rossa ammainata sul Cremlino in fin dei conti è un crepuscolo struggente dell’anima.
Quelli come Massimo D’Alema, che ancora con orgoglio vanno in pellegrinaggio di pace con gli autocrati euro-asiatici e hanno pure la chat nientemeno che con Marwan Barguthi, il Mandela di Palestina, un detenuto cui viene negata la libertà ma concesso il privilegio inestimabile di parlare con il grande leader della sinistra internazionale. Sì, sono quelli che, come scrive Baricco, pensano che il Novecento sia un malvagio «animale morente» da seppellire definitivamente, magari a badilate digitali delle nuove generazioni, loro sì che ci riusciranno dove i padri hanno fallito.
Michele Serra pensa che del Ventesimo secolo si debbano salvare il Sessantotto, il femminismo e la rivoluzione sessuale. Mica la scuola di Vienna, la lost generation, il cubismo, l’espressionismo, Keynes, Bloomsbury, il laburismo, lo stato sociale e il new deal, Internet, roba americana come la Coca Cola. Poter liquidare la guerra tra Israele e Hamas come il grande genocidio occidentale è sembrato un risarcimento della storia, la prova che in fin dei conti avevano perso, ma avevano ragione a stare dalla parte sbagliata.
Mi ha molto colpito leggere il post di una dei membri della Flottiglia, una giovane skipper dal sorriso gentile. Racconta l’abbordaggio e come in quei momenti pur concitati un soldatino israeliano le si è avvicinato gentilmente per dirle che ammirava che cosa stava facendo per Gaza e a sua volta lei avesse aperto una tenda per ripararlo dal sole. Ma è stato un attimo, perché lui è pur sempre un assassino, quindi lei si sorprende di essere stata gentile. Capita quando si ragiona per simboli e categorie: non esistono più uomini, ma simboli da abbattere come nel “diritto penale d’autore” con cui i nazisti perseguitavano i diversi, tra cui gli ebrei uccisi in sei milioni in pochi mesi.
La categoria adottata dalla sinistra in questo tragico conflitto è stata la definizione di genocidio adottata a cuor leggero da tanti, con poche isolate eccezioni di qualche intellettuale e storico (Marcello Flores e Andrea Graziosi).
Come è stato ripetuto più volte da un insospettato flusso di esperti della materia, da Tomaso Montanari a Enzo Iachetti, ciò che contraddistingue il fenomeno è la pianificazione dello sterminio. Da quali elementi i suddetti esperti avessero tratto il convincimento che essa vi fosse non è dato sapere, fatto sta che il massacro, orrendo e criminale per cui Benjamin Netanyahu dovrà rispondere, è cessato con la promessa di restituire gli ostaggi.
Francesco Cundari obietterebbe che trovare una qualche forma di giustificazione all’ingiustificabile è una ammissione di colpevolezza e debolezza. Può essere, ma alcune cose forse si possono cominciare a dire.
Sul Wall Street Journal il corrispondente da Gaza, Moumen Al-Natour, ha raccontato come Hamas governi la striscia col terrore tipico di un’associazione mafiosa, con le squadracce inviate a rapire, torturare e sopprimere i dissidenti.
Ieri alcuni giornali davano notizia che a Gaza, alla notizia dell’accordo, il prezzo di un sacco di farina è sceso da ventitré a nove dollari, a dimostrazione dell’esistenza di un mercato nero che gestiva i viveri.
Sulla tragedia etica tutto giusto, un orrore indicibile. Ma sia concesso ricordare che da mezzo secolo gli scienziati cognitivi sono alle prese col “dilemma del carrello o dell’uomo grasso”. Un carrello sta viaggiando in direzione di cinque persone impossibilitate a muoversi, e l’unico modo per arrestare la sua corsa è scaraventare sulle rotaie un uomo molto obeso a bordo: l’uomo sarebbe condannato a morire investito dal carrello, ma in questo modo si salverebbe la vita delle altre cinque.
Per quanto possa sembrare strano, in molti dicono di non essere capaci di sacrificare l’uomo grasso, perché quell’uomo è un membro del gruppo sul carrello, un compagno di viaggio. Il tentativo di salvare duecentocinquanta ostaggi innocenti sapendo che in caso contrario avrebbe incoraggiato ulteriori atti di terrorismo contro altri innocenti può giustificare sessantamila morti? Non c’è proporzione e la risposta è obbligata, ma si possono nutrire dubbi?
Quando il partito comunista berlingueriano si è trovato di fronte al suo dilemma del carrello, il salvataggio di Aldo Moro in cambio della liberazione di terroristi detenuti, rifiutò, ragionando che il ricatto sarebbe accaduto ancora, ma altri partiti erano di avviso contrario: Radicali e socialisti avrebbero voluto salvare il “compagno di viaggio” mettendo a rischio la vita di molti altri.
C’è un’ultima riflessione: molti sono sconcertati dal fatto che un folle autocrate come Trump possa avere fatto cose buone. Invece non è un caso: nell’Occidente democratico e morente la spinta della pubblica opinione e la condivisione di valori, simboleggiata dal sospirato premio Nobel, hanno indotto un satrapo a perseguire la pace.
Altrove, in Iran come in Russia, ciò non è possibile, e i satrapi continuano a sacrificare vite umane, senza il fastidio di assistere ai cortei. Lunga vita all’Occidente, la peggiore delle costituzioni sociali, eccetto tutte le altre.
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