Giorgia vuole Meloni sulla scheda elettorale, i suoi alleati (e Schlein) resistono

Novembre 7, 2025 - 18:00
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Giorgia vuole Meloni sulla scheda elettorale, i suoi alleati (e Schlein) resistono

Elly Schlein contro Giorgia Meloni anche sulla legge elettorale: la prima non vorrebbe il nome del candidato premier sulla scheda, la seconda sì. Alla leader del Partito democratico andrebbe benissimo se il nome non ci fosse, perché così sarebbe superfluo tenere le primarie, un appuntamento rischioso per tutti e occasione di lacerazioni interne che potrebbero indebolire sul nascere la campagna elettorale.

Certo, istintivamente a Elly piacerebbe essere insignita dal popolo nei gazebo, ma dall’altro lato teme Giuseppe Conte o magari Silvia Salis: il primo può vantare l’esperienza di ex presidente del Consiglio, la seconda può esibire la freschezza della novità. Tra l’altro, a Schlein non sfugge l’attivismo della sindaca di Genova, che da ultimo ha proposto un patto Schlein-Meloni contro la violenza di genere e che per questo non a caso è stata bacchettata da Jasmine Cristallo, l’ex sardina collaboratrice di Marta Bonafoni, vicinissima a Schlein.

In una gara a tre tra quest’ultima, Conte e Salis il risultato non sarebbe per nulla scontato. Più comodo per la numero uno del Pd lo schema che in questi anni è valso nel centrodestra: a palazzo Chigi va il leader del partito più forte. La competizione Schlein-Conte (Salis) verrebbe cioè risolta dagli elettori che, votando Pd o Movimento 5 stelle, indicherebbero di fatto o la leader dem o l’avvocato. Poi, certo, in teoria nulla impedirebbe che nel corso della legislatura il Parlamento possa esprimere un altro nome. E non solo in teoria: dopo Schlein, a Chigi potrebbe salire un altro o un’altra…

Il fatto nuovo è che la questione del nome sulla scheda sta dividendo anche il centrodestra. Il suo modello è un sistema proporzionale, anche se corretto da un premio di maggioranza, cancellando del tutto i collegi uninominali. Il mezzo è da Prima Repubblica (proporzionale), il fine da Seconda (avere una maggioranza certa, grazie al premio che scatterebbe al quaranta per cento dei voti e porterebbe al cinquantacinque per cento dei seggi).

Il centrodestra ci sta lavorando da solo, non si hanno notizie di particolari contatti con le opposizioni. Il punto dolente, come detto, è la questione dell’indicazione del nome del presidente del Consiglio sulla scheda, una novità che Giorgia Meloni fortissimamente vuole, e non solo per una ragione di protagonismo personale, ma perché convinta che il suo nome sia un brand vincente.

Ma il fatto nuovo è che alla presidente del Consiglio stanno facendo problemi dove meno se l’aspetta: dal centrodestra. Le obiezioni sono tre. La prima, piuttosto debole, è di carattere costituzionale: ancorché non si tratti di un’elezione diretta ma di una indicazione non vincolante, una novità del genere, secondo alcuni, potrebbe ledere il potere costituzionale del presidente della Repubblica, titolare unico della nomina del capo del governo. Le altre due obiezioni sono prettamente politiche.

La prima viene da Forza Italia e in parte dalla Lega, preoccupati che il nome di Meloni sulla scheda finisca per oscurare il peso di questi due partiti, relegandoli quasi anche formalmente al ruolo di gregari. La seconda obiezione politica viene addirittura da Fratelli d’Italia: i portatori di voti sul territorio hanno fatto presente il rischio che molti elettori di FdI potrebbero limitarsi a barrare il nome di Meloni senza mettere la croce anche sul simbolo del partito, così che, paradossalmente, il nome della leader di Fratelli d’Italia sulla scheda farebbe diminuire i voti del partito. Dunque, anche questo è bizzarro, su questo punto la presidente del Consiglio sarebbe in minoranza nel centrodestra.

Può darsi che Meloni superi queste obiezioni e riesca a portare il Melonellum in aula, ponendo la fiducia per evitare di essere impallinata dai franchi tiratori, che sulle leggi elettorali abbondano ogni volta. Il centrodestra, invece, è unito, malgrado le perplessità della Lega, nel voler abolire del tutto i collegi uninominali dove il campo largo è molto competitivo: un colpo di spugna sull’ultimo residuo di maggioritario introdotto dal Mattarellum trent’anni fa. Su questo punto è chiaro che il centrosinistra non sarà mai d’accordo, il che è sufficiente per prevedere che la nuova legge elettorale non sarà bipartisan.

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Redazione Redazione Eventi e News