I rigori a porta vuota che destra e sinistra non vogliono tirare, e non si sa perché

Novembre 16, 2025 - 08:30
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I rigori a porta vuota che destra e sinistra non vogliono tirare, e non si sa perché

Ci sono alcune cose della politica italiana di cui non mi capacito. Alcune scelte che non capisco. Alcune dinamiche che vanno al di là della mia evidentemente limitata comprensione. «Solo alcune?», si chiederanno i lettori di questo articolo, ancora più delusi di me dal disgraziato stato del nostro dibattito politico.

Non hanno tutti i torti, in effetti, ma ce ne sono almeno sei di cose che a guardarle mi sembrano rigori a porta vuota pronti per essere battuti, ma che non trovano nessuno disponibile a calciarli.

Comincio da Giorgia Meloni e dal suo palese disinteresse a usare sul fronte interno quei toni da statista che invece mostra nei vertici internazionali. Una volta di Yasser Arafat si diceva che quando parlava in inglese a un pubblico internazionale, magari quello delle conferenze di pace, diceva cose condivisibili, poi però diceva esattamente il contrario quando si rivolgeva in arabo alla sua base popolare che non voleva rinunciare alla cancellazione dello Stato ebraico e dei suoi abitanti.

Al di là del merito delle scelte politiche, perché non è questo il punto, quando Meloni parla in inglese nei consessi istituzionali si acconcia a leader conservatrice europea, seria e moderna, quando invece prende la parola in italiano, anche in Parlamento e non solo nei comizi elettorali, si trasforma e torna a essere quella politicante populista che certamente ha avuto un gran successo anche grazie a quei toni, ma del tutto incapace di conquistare consensi nell’area maggioritaria e non estremista del paese, con i quali farebbe cappotto di consensi e governerebbe all’infinito.

Capisco che Meloni debba guardarsi le spalle dagli scavalcamenti a destra di Matteo Salvini e di Roberto Vannacci, e so anche che al cuore non si comanda, ma da una donna esperta e pragmatica come lei mi aspetterei che si presentasse a tirare il rigore, tanto più che il centrosinistra ha deciso di abbandonare il fronte centrale dello schieramento per inseguire illusioni minoritarie, radicali e populiste.

Il secondo rigore a porta vuota è quello che non batte la sinistra, anche se quando si parla di sinistra si dovrebbe parlare di autogol e non di rigore. La sinistra italiana è campione del mondo nel farsi ingabbiare nella caricatura fumettistica che ne fanno i detrattori di destra: non basta aver scelto come leader un profilo come Elly Schlein, non esattamente il più indicato a conquistare voti moderati, operai e meridionali, ma quel che è preoccupante è che la sinistra non riesce a scrollarsi di dosso l’immagine (falsa, ma non per questo meno efficace) di coalizione politica pronta ad aprire le porte all’immigrazione senza limiti e ad aumentare le tasse con patrimoniali e imposte maggiori ai favolosi ricchi a duemila cinquecento euro al mese.

E quando sento che alcuni di coloro che preparano un’alternativa a Schlein immaginano di sostituirla con Ernesto Ruffini, lo stimato ex direttore dell’Agenzia delle Entrate, mi viene da pensare che siano tutti al servizio della Meloni.

Immaginate una sfida elettorale Meloni-Ruffini, con quella metà di paese che evade il fisco, e che fin qui l’ha fatta franca, che si guarderà bene dal votare un ex mammasantissima dell’Erario e di Equitalia particolarmente attrezzato a far emergere il nero che infesta l’economia ma allieta la vita di imprenditori, professionisti e artigiani.

Allo stesso tempo, l’altra metà di italiani che paga regolarmente le imposte, perché trattenute dal datore di lavoro con una delle pressioni fiscali più alte dell’Occidente, e per questo particolarmente furiosa con gli esattori dello Stato, voterebbe l’ex capo dell’Agenzia delle Entrate soltanto nei peggiori incubi e semmai correrebbe a sostenere chi promette di abbassare le tasse, anche se sa che non succederà mai.

A proposito di autogol, qualcuno dovrebbe spiegare agli elettori per quale motivo, o merito, Eugenio Giani ha nominato come sua vicepresidente della Toscana Mia Diop, una ragazza livornese di origini senegalesi, di anni ventitré e di curriculum ovviamente vuoto. È evidente che Mia Dop è stata scelta perché rappresenta fisicamente l’integrazione che funziona, e che è giusto rivendicare ma forse non fino al punto di affidare la vicepresidenza di una Regione importante a una giovane inesperta soltanto perché così si può fare gne-gne alla destra vannacciana, come se le istituzioni fossero un thread su Twitter.

Terzo rigore a porta vuota non battuto è quello della mitologica corrente dei riformisti del Pd. Nati assieme al Pd a vocazione maggioritaria di Walter Veltroni, e sbocciati ai tempi di Renzi imperante, i deputati e i senatori riformisti del Pd non condividono niente, ma proprio niente, della linea politica della segretaria Elly Schlein. Del resto lei è stata eletta sconfiggendo proprio un candidato riformista ma grazie al voto dei militanti non iscritti al Pd, probabilmente iscritti a partiti concorrenti, con l’obiettivo preciso di occupare il Pd e di smantellarlo dall’interno fino a trasformarlo in una forza politica a vocazione testardamente minoritaria che appalti la linea politica ai populisti a cinque stelle, ai sindacati antagonisti e alla magistratura militante.

Eppure, nonostante ciò, i riformisti non solo non escono dal Pd, scottati dalle non felicissime scissioni precedenti e dalla poca fiducia riposta nelle leadership centriste, ma nemmeno combattono una partita interna provando a sfidare apertamente la segretaria e il suo gruppo dirigente. È vero che, di recente, i riformisti hanno cominciato a mostrarsi più attivi e loquaci, grazie soprattutto all’esempio di Pina Picierno, ma la contestazione della linea politica resta sempre sotto traccia, e la corrente diventa una fronda, attenta a non disturbare del tutto la manovratrice, sai mai che Schlein poi se ne ricordi al momento della formalizzazione delle candidature alle prossime elezioni.

E quindi i riformisti rimangono dentro un partito che sbanda vistosamente su cose che loro stessi ritengono fondamentali, a cominciare dall’Ucraina e dalla giustizia, ma anche su Israele e sulla crescita, senza prendere il coraggio a due mani e lanciare una sfida alla leadership di Elly Schlein.

Se la lanciassero avrebbero un’autostrada libera, il famoso rigore a porta vuota, per offrire al paese un’alternativa credibile al bipopulismo assieme ai centristi, riducendo la componente populista  della coalizione a un cespuglietto anonimo, fino a ricostruire il Pd a vocazione maggioritaria delle origini in grado di parlare a più della metà di italiani. E invece no, anche i riformisti si tengono lontani dal dischetto del rigore.

Altri due rigori a porta vuota riguardano la guerra russa all’Ucraina e all’Europa. Il rigore che la sinistra democratica non vuole battere è quello di abbracciare in modo pieno la resistenza ucraina, allineandosi alla sinistra democratica europea e anche americana. Elly Schlein non è mai andata a Kyjiv a portare solidarietà al popolo aggredito, e nemmeno i suoi più stretti collaboratori (ci sono andato solo i riformisti, appunto). Eppure Schlein e compagnia sono i primi a denunciare ogni giorno il ritorno del fascismo storico nel nostro paese, ignorando però il fascismo reale russo che ha attaccato l’Europa con missili e carri armati e il nostro paese con la propaganda e gli strumenti della guerra ibrida, motivo per cui il Presidente della Repubblica ha appena convocato una riunione del Consiglio Supremo della Difesa.

I populisti come è noto si appellano agli istinti meno nobili della natura umana e motivano il via libera all’aggressivo progetto imperialista russo con il non essere disposti a combattere, figuriamoci  a morire, per Kyjiv. Ma ecco il calcio di rigore che nessuno, a sinistra come a destra, vuole calciare: a voler fare concorrenza populista l’argomento più forte da usare con chi non vuole mandare i propri figli in guerra è proprio quello della necessità e urgenza di aiutare in ogni modo gli ucraini a fermare i russi, non quello di abbandonarli a sé stessi, perché se dovessero essere sconfitti poi toccherà proprio a noi andare a combattere, a meno di non voler imparare il russo come prima e unica lingua. E invece, anche qui, nessuno tira il calcio di rigore, e non si capisce perché.

L‘ultimo calcio di rigore che tutti hanno paura di tirare, al contrario di Nino della leva calcistica della classe 68, è ormai un classico di questo giornale, e in particolare di Francesco Cundari, ed è quello della legge elettorale proporzionale come rimedio principale all’imbarazzante e nocivo quadro politico nostrano.

Anzi stiamo ulteriormente scavando la fossa alla democrazia italiana con una nuova legge elettorale che con l’indicazione del candidato premier sulla scheda elettorale scavalcherà il Parlamento e il Presidente della Repubblica nella scelta del Presidente del Consiglio. Menti raffinatissime propongono addirittura di aggiungere all’indicazione del premier anche le primarie per scegliere il candidato premier, in modo da svuotare ulteriormente anche i partiti politici, non solo Parlamento e Quirinale, e da facilitare l’elezione di caudilli del popolo che poi risponderanno soltanto a sé stessi. 

Molti di quelli che combattono il populismo sono addirittura tentati dall’abbracciare questa ennesima riforma antipolitica proposta dal governo Meloni, come è già successo con la mutilazione del Parlamento proposta dell’algoritmo della Casaleggio associati e accettata dal centrosinistra nel paese delle meraviglie.

Insomma, anche in questo caso, non si trova nessuno pronto a gridare che il Re è nudo, nessuno disponibile a fare due più due e a collegare la proliferazione del famigerato bipopulismo italiano, metà di destra e metà di sinistra, alla degenerazione della stagione riformatrice maggioritaria, cominciata con ottime intenzioni oltre trent’anni fa, e finita a schifio: dalla prima repubblica a questi qua.

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