Il governo Meloni svela ancora una volta la sua vera natura illiberale

I due volti della destra, negli stessi giorni: c’è Giorgia Meloni che si connette in qualche modo agli europeisti sull’Ucraina e c’è Giorgia Meloni salviniana che sgombera il Leoncavallo in un innocuo pomeriggio d’agosto senza avvisare nessuno, tantomeno il sindaco di Milano.
C’è Giorgia Meloni che verga una dura dichiarazione contro le ultime scelte di Bibi Netanyahu e c’è Giorgia Meloni che si guarda bene da reprimere i mattocchi della Lega capitanati da Claudio Borghi, che resuscitano la campagna no vax – tanto, dice il cognato d’Italia Francesco Lollobrigida, la scienza non è uguale per tutti. C’è la Giorgia Meloni dei conti in ordine e quella che muove le leve del potere politico in una delle più dure battaglie nel mondo bancario.
E dunque è difficile raccapezzarsi e fare un punto anche solo provvisorio, ma chiaro su questa destra che si emancipa una volta ogni tanto per poi ricadere nel vecchio e mai dismesso vizio della faccia feroce: quello della destra securitaria che non fa dimenticare ai suoi seguaci da dove viene e di che pasta è fatta, e in questo senso lo sgombero del Leoncavallo vale più di cento comizi.
C’è il ministro della salute Orazio Schillaci, illustre medico e professore ed evidente impolitico, che Meloni lascia nelle grinfie di un Salvini infastidito dalla cacciata di due no vax dalla commissione sui vaccini che ora andrà rifatta. C’è la presidente del Consiglio, che si fa bella all’inutile tavolo di Washington, che un po’ telefona ai Volenterosi e un po’ no e che, intuendo che il Grande Capo, l’uomo nero della Casa Bianca, si è già stufato del dossier ucraino, anche lei diserta il campo.
E infine – e qui siamo al cuore del melonismo di Stato, altro che Lenin – ci sono Meloni e i suoi colonnelli che brigano per dare l’assalto al cuore del potere bancario in una estenuante partita a scacchi che potrebbe finire molto male per il sistema e per i contribuenti.
Come ha detto Benedetto Della Vedova, «Meloni che tuonava all’opposizione contro le banche e le interferenze governative oggi si muove come una banchiera d’assalto. Golden power selettiva e contraria alle norme nazionali ed europee, cessioni di quote pubbliche teleguidate dal Mef verso soci amici, moral suasion sulle Casse previdenziali vigilate dal Mef che si improvvisano pericolosamente investitori di rischio: a farne le spese è la credibilità dell’Italia, dove al mercato si sostituisce una serie opaca di decisioni politiche».
È vero, da mesi il governo, cioè Meloni e il ministro per l’Economia Giancarlo Giorgetti, stanno utilizzando impropriamente tutti gli strumenti per supportare l’assalto di Caltagirone e Delfin a Mediobanca con la finalità ultima di mettere le mani su Generali.
La vicenda, tecnicamente molto intricata, è politicamente semplice: il governo sta prendendo parte a una guerra finanziaria da cui dipenderanno gli assetti del mondo bancario (e politico) per i prossimi anni.
Dei due volti della destra, in questa fase sta dunque prevalendo quello securitario, antiscientifico, antiliberale (nel senso anti-libero mercato). Ma in questo modo Giorgia Meloni rischia di produrre una clamorosa strage delle illusioni sulla possibilità di una destra moderna e democratica – male per il Paese, e male soprattutto per lei, per il suo futuro di guida del Paese.
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