Il gran teatro dell’autoritarismo populista, da Grillo a Trump

Nel suo ampio elogio degli ultimi libri di Giuliano da Empoli, «il Mago del Cremlino» e «l’Ora dei predatori», come chiave per comprendere il carattere del nuovo autoritarismo e delle personalità autoritarie, qualche giorno fa David Brooks sottolineava sul New York Times, tra gli altri, un aspetto che ha molto colpito anche me. Per brevità e pigrizia, cito direttamente dalla sua sintesi: «Persone come Trump e Putin non sono politici, sono artisti che creano realtà alternative. Raccontano storie, inventano fatti alternativi, mettono in scena drammi quotidiani, allestiscono processi farsa e reinventano religioni: costruiscono un mondo». E ancora: «Le persone sostengono un leader autoritario non perché apprezzano questa o quella politica, ma perché abbracciano la sua visione artistica. Artisti performativi come Trump e Putin possono essere disonesti, offensivi e oltraggiosi, ma a un patto: non devono mai essere noiosi».
La questione del carattere teatrale (da Empoli, specialmente nel «Mago del Cremlino», parla proprio di avanguardia) è un tratto decisivo del moderno populismo, evidentissimo ad esempio nella genesi del Movimento 5 stelle. Un partito nato non per niente proprio dalle performance di un comico, che per lunghissimo tempo ha sfruttato sapientemente la possibilità di entrare e uscire a piacimento dallo scherzo, dal contesto di uno spettacolo di cabaret in cui è socialmente accettato dire e fare cose che in un contesto istituzionale non sarebbero permesse. O meglio, che fino a quel momento non lo sarebbero state, prima che il trattamento riservato alle istituzioni dai nuovi populisti non trasformasse radicalmente la scena pubblica e le regole della politica.
Un caso da laboratorio di questo mutamento mi pare sia offerto ora da quanto sta accadendo alla Bbc, dopo le dimissioni dei vertici per il video manipolato di Donald Trump, con lui già pronto a passare al contrattacco, e all’incasso, con una causa miliardaria. E soprattutto con la richiesta di pubbliche scuse da parte dell’emittente per avere così insinuato nel pubblico l’idea che Trump avesse fatto esattamente quello che ha fatto, e intende chiaramente continuare a fare, e cioè restare al potere con ogni mezzo. Ai tempi in cui ancora vigevano la logica e il principio di non contraddizione, sarebbe stato assurdo vedere lo stesso individuo da un lato graziare gli assaltatori del Congresso chiamandoli patrioti, dall’altro gridare allo scandalo perché un video mal montato sembrava fargli dire esplicitamente quello che ha detto o fatto capire in ogni altro modo possibile, e cioè che assaltare il congresso per impedire il normale passaggio di poteri a Joe Biden era un atto di patriottismo.
Chiunque sia stato davanti al televisore in quei giorni e ricordi i deliranti discorsi di Trump, le sue continue minacce, l’adunata dei suoi seguaci nei pressi del Congresso, l’ostinato rifiuto di riconoscere la sconfitta e poi di dire mezza parola per fermare le violenze, nonostante tanti dei suoi più stretti collaboratori lo implorassero di farlo, sa benissimo come sono andate le cose. Ma non ha alcuna importanza. Come conferma da ultimo anche la grazia a Rudy Giuliani e agli altri scherani sotto accusa per avere fatto davvero ciò di cui Trump continua ad accusare falsamente i democratici, e cioè tentare in ogni modo di truccare le elezioni del 2020. Se però è vero che i leader autoritari, con la loro concezione teatrale del potere, possono contraddirsi, mentire e compiere qualunque altra nefandezza, ma non possono permettersi di essere noiosi, forse in Italia abbiamo almeno un motivo di speranza.
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