Il problema di Meloni e Schlein con i sindaci

In questa, che è la settimana dei sindaci, Elly Schlein cerca una relazione privilegiata che però non ha mai avuto, e Giorgia Meloni mostra di rinunciare al tentativo di mettere piede in un mondo che non è mai stato facile per il suo partito. Migliaia di sindaci di Comuni d’ogni dimensione convergono oggi a Bologna Fiere per l’Assemblea annuale dell’Associazione nazionale comuni italiani. Si rinnova un evento a cui la politica nazionale guarda sempre con un misto di ammirazione – per le dimensioni e per la nobiltà del parterre che si raduna – di invidia e di sospetto. Tutta la politica nazionale, ma soprattutto i due partiti maggiori e le loro leader.
Da almeno due anni, subito dopo la conquista di Palazzo Chigi, Meloni ha tentato di colmare un buco storico di Fratelli d’Italia, che fra i sindaci ha sempre contato poco. Non è soltanto il primato storico del centrosinistra a bruciare (esprime ben oltre il sessanta per cento dei primi cittadini del Paese), ma soprattutto il tradizionale insediamento della Lega e anche di Forza Italia, più esteso di quello dei meloniani e con postazioni migliori nell’Anci, come del resto anche nella Conferenza dei presidenti di Regione. Il primato politico di Meloni, indiscusso a livello nazionale, semplicemente non esiste tra gli amministratori locali. E questo, naturalmente, non è accettabile per lei.
Per recuperare posizioni, oltre alla nota battaglia sulle candidature regionali, FdI si è affidata tra i sindaci soprattutto a Marco Fioravanti (sindaco di Ascoli, che dell’Anci è diventato presidente del Consiglio nazionale nel 2024, nella stessa edizione torinese che ha eletto Gaetano Manfredi presidente) e ancor di più a uno degli uomini forti del partito, il sindaco dell’Aquila Pierluigi Biondi.
Il lavoro di Biondi – apprezzato dai suoi colleghi in un ambiente come l’Anci, dove trasversalità e cooperazione sono la regola – ha fruttato un rapporto poco conflittuale tra sindaci e Palazzo Chigi, ma poco più. Manfredi ha proseguito la prassi di grande unità e autonomia dell’associazione, che era stata la caratteristica di Antonio Decaro, ma nel frattempo è cresciuto politicamente sullo scenario nazionale, fino a essere considerato un possibile antagonista della stessa premier.
Nel frattempo, le elezioni comunali continuavano a non dare soddisfazione alla destra, che dopo aver clamorosamente perso Genova si riduce ormai a governare tre sole città metropolitane su quattordici: Palermo, Catania e Venezia. Sicché i sindaci e la loro associazione rimangono in partibus infidelium per Giorgia Meloni.
E lei, che da quando è a Palazzo Chigi non s’è mai presentata di persona all’assemblea nazionale dell’Anci, limitandosi a video-collegamenti da remoto, quest’anno si eviterà anche questa scocciatura e manderà solo un freddo messaggio scritto. Marcando un’abissale differenza e diffidenza non solo a paragone dei suoi predecessori – sempre ospiti dell’assemblea – ma soprattutto di Sergio Mattarella, che non ha mancato un solo appuntamento da quando è al Quirinale, e per il quale l’incontro fisico coi sindaci si tramuta sempre in un tripudio di calore, riconoscimenti reciproci, abbracci e applausi.
Chiaro che, così facendo, la presidente del Consiglio non farà altro che far notare di più un suo punto debole, un vero lato scoperto di una leadership personale che non riesce a radicarsi in nessun territorio e anzi sembra ritrarsi dal confronto.
Questa debolezza di Meloni potrebbe dare un’opportunità a Elly Schlein, che avrà l’occasione di approfittarne, avendo deciso di trattenere a Bologna, ad assemblea Anci conclusa, i sindaci del Pd, per un’inedita convention di partito. Anfitrione sarà uno tra i pochissimi sindaci che si possano considerare davvero vicini alla segretaria, appunto, il bolognese Matteo Lepore.
Il problema è che, senza raggiungere il livello di Meloni, neanche Schlein ha questo grande feeling con gli amministratori, in particolare, quelli del proprio partito. In questo, a dire la verità, la segretaria del Pd perpetua la tradizione dei suoi predecessori (perfino quelli ex-colleghi, come Matteo Renzi), che hanno sempre visto nei sindaci solo dei grandi scocciatori, utili al momento di glorificarne le vittorie elettorali, ma poi tenuti ai margini di ogni decisione politica nazionale, comprese quelle che li riguardavano.
Per esempio, rimangono memorabili gli scontri a distanza tra Nicola Zingaretti e Decaro, che si sono poi ritrovati colleghi al Parlamento europeo. Per non parlare del rapporto terribile che c’è sempre stato fra sindaci e gruppi parlamentari, coi deputati e senatori in carica, che vedono ogni fascia tricolore come il più temibile concorrente per il mandato successivo.
In ogni caso, Schlein tenta ora di stringere intorno a sé il gruppo nutrito e importante dei sindaci, con un obiettivo evidente: smontare almeno due delle accuse che le vengono rivolte. La prima, di essere isolata, accerchiata nel Pd e sostanzialmente priva di un vero gruppo dirigente. La seconda, di essere sempre generica nelle proposte politiche, spesso massimalista, comunque poco realistica quando si arriva al livello dell’esperienza quotidiana dei cittadini.
Esattamente l’opposto di quella che è la caratteristica migliore dei sindaci, dai quali evidentemente lei aspetta un sostegno e un viatico mostrando loro, per la prima volta, disponibilità di ascolto. Si vedrà a Bologna se il tentativo riuscirà.
Non sarà facile, però. Perché il primo tema, quello della solidità della leadership, è reso non più semplice ma più problematico dalla presenza di sindaci forti che, nella descrizione dei media, saranno prima o poi un’insidia per la stagione Schlein, in particolare lo stesso Gaetano Manfredi e Silvia Salis da Genova, la preferita del gruppone democratico che si riunirà a fine mese a Montepulciano intorno a Dario Franceschini.
Manfredi e Salis sono, peraltro, indipendenti, non iscritti al Pd, e fanno parte di un’area abbastanza vasta di amministratori progressisti che si muovono in una terra di nessuno, partiticamente parlando, che la segretaria non sa se considerare alleata o concorrente.
Quanto al secondo tema, quello dei contenuti, Elly Schlein sentirà ripetersi dai sindaci le stesse cose che le dicono i dirigenti della poco simpatizzante corrente riformista del partito. E cioè, che il Pd non può ritrarsi dall’affrontare di petto le questioni che invece il partito considera più scomode e, pregiudizialmente, «di destra»: la sicurezza nelle città e la gestione dei flussi migratori. Temi decisamente non schleiniani eppure cruciali, se si ambisce a uno status di governo e a confrontarsi efficacemente con Giorgia Meloni (che né sulla sicurezza nelle città né sui flussi migratori ha uno score di risultati minimamente soddisfacente).
Alla fine, l’evento bolognese andrà sicuramente bene per la segretaria, dal punto di vista mediatico. È tutto da vedere, se avrà anche l’effetto politico di rafforzamento personale di cui lei ha davvero bisogno.
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