Il Tribunale di Milano mette un freno al greenwashing
Il Tribunale di Milano segna un punto di svolta nella lotta al greenwashing: con una sentenza storica, dichiara illegittimi i claim ambientali vaghi e non verificabili, imponendo alle imprese una comunicazione più chiara, documentata e conforme ai principi europei di trasparenza
Con una sentenza destinata a creare un precedente, il Tribunale di Milano ha dichiarato illegittimi quattro green claim giudicati vaghi, generici e non verificabili, in quanto potenzialmente ingannevoli per il consumatore medio.
Il principio espresso dai giudici è netto: le imprese che vogliono definirsi sostenibili devono disporre di documentazione concreta e verificabile a supporto delle proprie dichiarazioni ambientali.
L’orientamento, già consolidato in altri Paesi europei, segna per l’Italia una svolta cruciale nella regolamentazione della comunicazione ambientale e nella lotta contro il fenomeno del greenwashing, ossia l’uso strumentale di argomentazioni verdi a fini di marketing.
Una decisione che cambia le regole del gioco
La pronuncia milanese, spiega Barbara Klaus, avvocato ed esperta di regulatory compliance presso Rödl & Partner, rappresenta una decisione storica verso una comunicazione ambientale più trasparente e verificabile.
Il Tribunale ha infatti ritenuto fuorvianti claim come “questa impresa rispetta alti standard di impatto ambientale e sociale positivo” o “maglieria impatto zero“, ritenendo che tali affermazioni potessero alterare il comportamento economico del consumatore.
L’assenza di parametri oggettivi e la genericità delle espressioni, sottolineano i giudici, impediscono al cittadino medio di comprendere la reale portata dell’impegno ambientale dichiarato.
Il rischio è quello di generare fiducia ingiustificata verso prodotti o aziende che non dispongono di dati o verifiche a sostegno delle proprie affermazioni.
La decisione italiana si inserisce in una cornice normativa in evoluzione a livello europeo. In Germania, nel 2025, una Corte regionale ha condannato alcune compagnie aeree per aver promosso un sovrapprezzo volontario sui biglietti come misura di compensazione della CO2 senza fornire prove scientifiche sufficienti.
In Francia, già nel 2021, l’Arpp (Autorité de Régulation Professionnelle de la Publicité) ha sanzionato un’azienda produttrice di calzature per l’uso di slogan come “100% iconica, 50% riciclata“, considerati ingannevoli perché non supportati da evidenze verificabili.
Anche in Italia, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm) ha più volte sanzionato claim ambientali non fondati su dati scientifici.
Tra i casi recenti, quello di un’azienda del settore delle bevande che aveva utilizzato la dicitura “CO2 Impatto Zero“, poi rimossa da etichette e pubblicità. Il contributo del potere giudiziario rafforza così l’azione dell’Autorità, offrendo alle imprese un quadro più chiaro per sviluppare una comunicazione ambientale conforme e credibile.
Il nodo delle certificazioni private
Un aspetto particolarmente rilevante della sentenza riguarda anche l’uso dei marchi di sostenibilità privati, spesso presenti sulle etichette dei prodotti o nei materiali promozionali.
Il Tribunale ha chiarito che tali marchi non garantiscono alcuna conformità a standard pubblici o accreditati, ma rappresentano esclusivamente la reputazione del soggetto privato che li rilascia.
I marchi di sostenibilità di natura privatistica – spiega ancora Klaus – non costituiscono di per sé prova oggettiva dell’assenza di impatti ambientali o sociali. Possono indicare un impegno valoriale, ma non sostituiscono la verifica indipendente dei dati.
Il principio espresso dai giudici milanesi si allinea pienamente ai contenuti della nuova Direttiva (UE) 825/2024, approvata in via preliminare dal Consiglio dei Ministri, che mira a rafforzare la trasparenza nella comunicazione ambientale e a introdurre standard uniformi di verifica per tutti gli operatori del mercato europeo.
Verso una comunicazione ambientale più matura
Secondo i dati raccolti dall’Agcm tra il 2024 e il 2025, i claim più contestati riguardano espressioni come zero emissioni, biodegradabile, compostabile, 100% energia verde, circolarità dei prodotti e consumo responsabile, spesso utilizzate senza fondamento scientifico o tracciabilità.
La decisione del Tribunale di Milano assume quindi un valore educativo oltre che giuridico: rafforza il concetto di green compliance, invitando le aziende a basare la propria comunicazione su trasparenza, verificabilità e dati oggettivi.
In un contesto in cui i consumatori sono sempre più attenti e informati, la credibilità diventa il vero capitale competitivo. Nel nuovo paradigma della sostenibilità, infatti, non basta dichiararsi green: occorre dimostrarlo con prove, metodologie riconosciute e verifiche indipendenti.
Crediti immagine: Depositphotos
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