La droga dei fotoromanzi di TikTok, e la prossima inesorabile fine delle serie tv

Novembre 12, 2025 - 14:30
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La droga dei fotoromanzi di TikTok, e la prossima inesorabile fine delle serie tv

Grazie, London Review of Books. Grazie per avermi confermato che non me l’ero sognato. Grazie per avermi fatta sentire meno sola e meno matta. Grazie per avermi dato quel genere di rassicurazioni che suonano come: sì, sei scema, ma siete scemi in tanti.

Le cameriere a casa di mio nonno leggevano i fotoromanzi. Lo so perché, in un’infanzia e in un’adolescenza nella quale nulla mai mi è stato proibito e nessuno mai si è preso il disturbo di educarmi, i cazziatoni sono arrivati quel paio di volte in cui mio padre mi ha vista con dei fotoromanzi.

Quella roba da cameriere, tuonava (chiedo scusa per il verbo da romanzo rosa). Credo che il porno non gli avrebbe fatto altrettanta impressione. Anzi, lo so per certo. L’estate, dagli zii, all’edicola del mare, compravo un Harmony al giorno, e quelli con le scene zozze. Nessuno mi diceva niente: non li avevano mai visti in mano alle cameriere, quindi non erano proibiti.

Venticinque anni fa, nella redazione in cui passavo le mie giornate, a pranzo si fermava tutto: dovevamo vedere “Centovetrine”, cioè la versione televisiva degli Harmony e dei fotoromanzi. Povero papà, troppo inattrezzato per sapere che in ogni intellettuale dorme un sonno leggerissimo una cameriera.

Avanzamento veloce di quarant’anni rispetto agli Harmony e di venticinque rispetto a “Centovetrine”, e su TikTok m’iniziano a comparire dei fotoromanzi animati. Sono teoricamente film a puntate, ma sono proprio fotoromanzi, con quella recitazione da canile municipale, quelle sceneggiature che in confronto la roba di Netflix è raffinata, e quelle espressioni stravolte da fermoimmagine a ogni gancio per farti cliccare sulla puntata dopo, cioè una volta al minuto.

Dopo un po’ di puntate – dieci? Venti? Difficile dire: noi drogati non abbiamo mai gran contezza delle dosi – devi pagare per vedere il resto. Naturalmente mi rifiuto, anche perché conosco la legge dell’internet: se metti una cosa on line a pagamento, dopo quindici secondi ci sarà qualche esaltato sostenitore del dovere della gratuità che l’avrà ricaricata su una piattaforma non a pagamento.

E infatti riesco subito a trovare la mia droga per intero. Un’ora e quaranta minuti, anche se so dal minuto due come finirà e con quanta cagnaggine potranno arrivare al lieto fine previsto. Passando, sempre, per lo stesso schema.

Lei è povera, ma solo apparentemente: solo dopo essersene innamorato e averla difesa contro la famiglia e il mondo che la maltrattano e la prendono per una cacciatrice di dote, lui scoprirà che è un’ereditiera misteriosa. Nel frattempo la madre di lui e l’amministratore delegato dell’azienda della famiglia di lui l’avranno come minimo picchiata, umiliata in pubblico, fatto cose che non si capisce con che criterio ti venga in mente di fare a una sconosciuta, ridendo malvagi con risate da cartoni animati.

Oppure. Lei è povera davvero, e crede sia povero anche lui, perché per fuggire da un matrimonio combinato si è fatto prestare la divisa da una guardia giurata della sua azienda, ed è in quei panni che lei l’ha incontrato. Lo ama anche se è povero, e lui che ovviamente è sempre stato considerato solo per i soldi pensa che lei sia una santa un angelo l’unica donna della sua vita.

Sono, faccio notare, tutte storie che esistono in un mondo senza Google. È un mondo con un pienone di miliardari che nessuno riconosce, neanche le cacciatrici di dote, neanche quelli che lavorano per loro, nessuno, tutti con lineamenti ignoti in un’epoca antecedente a Google Images.

Ma torniamo alla biondina e alla sedicente guardia giurata. Hanno tutti contro, la madre di lui, la donna che la madre vuole fargli sposare, persino i colleghi di lei che la vedono improvvisamente in Chanel e non capiscono come possa permetterselo. Scarica la app se vuoi vedere il resto, certo, la scarico subito, e scopro che vedere il resto mi viene 14 euro e 99 a settimana.

L’altro giorno ho cliccato per disdire Apple+, che costa 9 euro e 99 al mese, perché era finito “Slow Horses”. Mi hanno detto dai, se resti te lo scontiamo per due mesi a 4 e 99. Un mese di Apple+ costa quindi un terzo di una settimana a vedere le storie in video verticali da un minuto. Non è possibile che là fuori ci sia qualcuno che dà quindici euro a settimana a questa roba, dai.

È con una certa umiliazione che apprendo dalla London Review of Books che questo giochino chiamato “vertical drama”, la soap opera girata per gli schermi dei telefoni, va per la maggiore tra i ventenni cinesi, una categoria alla quale evidentemente appartengo. Le storie che compaiono a me sono tutte di occidentali e ambientate a Los Angeles, perché evidentemente l’algoritmo mi ha profilata così, ma ce ne sono anche con attori cinesi, e a quanto pare sono la fortuna degli attori locali.

Riporto i numeri che dà la London Review of Books. Attualmente i vertical drama hanno un pubblico di 696 milioni di spettatori, e tra di essi c’è il 70 per cento di tutti gli utenti internet in Cina. L’anno scorso, il mercato di ’sto giochino verticale ha fatturato l’equivalente di poco più di sei miliardi di euro. Per il 2027 si aspettano di arrivare a 10 miliardi e mezzo l’anno.

«Il ritmo rapido e i conflitti intensi dei verticali consentono agli spettatori di provare in pochi minuti tutto il ciclo tensione-anticipazione-scarico-soddisfazione». Le sveltine della generazione più sessuofobica di sempre, girate in verticale perché è anche la generazione che non riesce ad accorgersi di avere gli occhi in orizzontale.

I giovani attori, che non trovano lavoro nel cinema, nei verticali vengono pagati anche duemila e quattrocento euro al giorno, e hanno ruoli da protagonisti. I Ciavarro della loro generazione, magari un domani arriva un «pizza fredda, birra calda» anche per loro, dai verticali alla storia del cinema è un attimo.

Sono lieta di apprendere che sono in abbondante e fessa compagnia, e che finalmente ho anch’io un qualche gusto come quelli dei ventenni (era meglio Taylor Swift); ma azzardo che il ciclo della soddisfazione e della dopamina c’entri fino a un certo punto. I verticali sono irresistibili perché sono completamente privi di senso del ridicolo, con dialoghi inebrianti. Nell’ultimo che ho guardato, quello in cui il ricco si traveste da guardia giurata, a un certo punto la madre e la ragazza con cui la madre vuole ammogliarlo vanno nella casa da poveri, dove lui vive con la povera, onde maramaldeggiare.

La povera offre un tè, la sua rivale ride con la risata cattiva che aveva Iriza in “Candy Candy”, o qualche personaggio parimenti tagliato con l’accetta. È un tè di Walmart?, domanda sprezzante. (Walmart è un grande magazzino americano coi prezzi bassi davanti agli scaffali del quale difficilmente s’incontrano multimilionari). La signora, conclude, beve solo foglie da mille dollari a bustina arrivate appositamente dalla Cina. Non so voi, ma io per dialoghi così sono tentatissima di dar loro dodici volte la cifra che do a Apple+ per vedere la nuova, sopravvalutatissima serie dell’autore di “Breaking Bad”.

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Redazione Redazione Eventi e News