L’eroica resistenza ucraina davanti al quarto inverno di guerra

Scrive le Monde che a oggi, secondo le autorità ucraine, su 19.546 bambini rapiti sin dall’inizio dell’invasione, spesso dati in adozione a famiglie russe dopo aver loro cambiato nome e data di nascita per farne perdere le tracce, ne sono stati recuperati 1.762.
Le ong che si occupano di loro raccontano gli effetti spaventosi del lavaggio del cervello cui vengono sottoposti: «È come se fossero usciti da una setta». La tragedia è che ormai lo stesso trattamento tocca a oltre un milione e mezzo di bambini ucraini che vivono nei territori occupati o in Russia, sottoposti a un processo di russificazione e militarizzazione forzata sin dalle elementari.
Questo accade in quei territori occupati di cui parliamo con tanta leggerezza sui giornali e nei talk show italiani, dove c’è sempre qualcuno pronto a ripetere, con tono a metà tra l’annoiato e l’esasperato, che il problema è l’ostinazione degli ucraini nel non volerli abbandonare, o persino nel rifiutarsi di cederne altri, spontaneamente, in omaggio alla Russia. Sacrifici umani per placare la furia di Vladimir Putin.
Se questo è quel che accade nei territori occupati, non è che nel resto del paese, all’approssimarsi del quarto inverno di guerra, la vita sia molto più facile. «Siamo solo all’inizio di novembre, ma le abitudini degli scorsi inverni ritornano. Carichiamo le lampade e le power bank. Versiamo acqua calda nei thermos, prepariamo cibi precotti», scrive Olivia Kortas su Die Zeit, raccontando la giornata passata con l’amica Lena e sua nonna di novantadue anni, in un appartamento in cui alle 16.30 va via la corrente – come accade regolarmente, a causa dei bombardamenti russi alle infrastrutture – e a quell’ora già non ci si vedrebbe quasi più, se non fosse per la lampada da tavolo ricaribile. «Nonna, cosa fai normalmente, quando va via la corrente?», domanda Lena. «Mi metto a letto e aspetto che ritorni la luce», risponde lei. Il giorno prima era stata senza corrente dalle 16 alle 19.30.
Leggo queste storie provando un misto di orrore, per quello che accade lì, e vergogna, per come ne discutiamo qui, dove continuiamo a ripetere solo quanto gli italiani siano stanchi – noi – di questa guerra. E penso alla nonnina dell’articolo, che non si lamenta di nulla, anzi, dice che si vergognerebbe a lamentarsi, perché allora «cosa dovrebbero dire le vecchiette che abbandonano le case vicino al fronte e devono mettere tutta la loro vita in una piccola borsa prima di fuggire?». Noi, invece, non ci vergogniamo di niente.
Questo è un estratto di “La Linea” la newsletter de Linkiesta curata da Francesco Cundari per orientarsi nel gran guazzabuglio della politica e della vita, tutte le mattine – dal lunedì al venerdì – alle sette. Più o meno. Qui per iscriversi.
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