L’estrema destra europea ha imparato a essere più professionale, ma non è cambiata

Novembre 25, 2025 - 16:30
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L’estrema destra europea ha imparato a essere più professionale, ma non è cambiata

Per anni l’estrema destra di tutta Europa è stata raccontata come un circo politico fatto di personaggi pittoreschi, scandali imbarazzanti, leader imprevedibili e comizi un po’ troppo sopra le righe. È stata raccontata così perché, allora, i protagonisti di quella frangia politica erano davvero così. Jordan Bardella, Nigel Farage, Alice Weidel e tutti gli altri sembravano appartenere a storie di colore, aneddoti di una politica inevitabilmente marginale. È stato così a lungo, finché non è cambiato tutto. «In tutta Europa, l’estrema destra sta diventando professionale», ha scritto Politico Europe. E non è solo una frase a effetto: Politico descrive un processo strutturato e pianificato, una crescita quasi manageriale che punta a rendere presentabili partiti che per decenni sono rimasti ai confini della politica.

In questi anni abbiamo raccontato l’ascesa dei populismi di estrema destra in Italia e in Europa da diverse angolazioni. Questi partiti sono in vantaggio nei sondaggi in Germania, Francia e Regno Unito, e negli ultimi anni hanno preso il potere in Italia, Finlandia e Repubblica Ceca, tra gli altri Paesi, con un programma politico che spesso prevede l’espulsione di centinaia di migliaia di migranti. E ovviamente anche nelle istituzioni europee possono far sentire il loro peso. Questo mese hanno raggiunto un importante momento di svolta al Parlamento europeo, quando la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha vinto una votazione per ridurre le norme sul clima con l’appoggio di alcuni europarlamentari di estrema destra.

C’è anche una dimensione estetica singolare in questa storia. «Sono meno in vista i politici eccentrici inclini agli scandali e vestiti in modo insolito», scrive ancora Politico. L’esempio più evidente qui è quello di Nigel Farage, volto della Brexit e miccia dell’ondata sovranista dell’ultimo decennio. Il politico più a destra del Regno Unito è storicamente una spina nel fianco dell’Unione europea, fin da quando era membro del Parlamento europeo. Secondo diversi sondaggi, oggi vincerebbe le elezioni generali e diventerebbe primo ministro britannico se dovesse votare. E sebbene non siano previste elezioni prima del 2029, Farage sta influenzando il dibattito politico nel Regno Unito e non perde occasione per sfruttare la sua amicizia con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

Per Farage, che per decenni si è lasciato fotografare con una pinta di birra in una mano e una sigaretta nell’altra, l’ascesa politica ha significato, tra le altre cose, costruire un’immagine diversa, meno legata all’alcol e alla goliardia. Meno giacche da campagna e coppole, più spesso lo si vede con il classico abito blu navy di sartoria i suoi discorsi importanti. Ha capito che in certi contesti l’abito può fare il monaco.

Nigel Farage, leader di Reform UK – Associated Press/LaPresse

In tutta Europa l’estrema destra è popolata da leader pettinati, addestrati alla comunicazione, con milioni di follower su TikTok e un’immagine studiata a tavolino. L’obiettivo non è più scandalizzare, ma normalizzare. Farage non è l’unico. In Francia, Marine Le Pen ha imposto quella che i giornali hanno battezzato stratégie de la cravate: codice di abbigliamento, disciplina comunicativa, selezione attenta dei candidati. Il volto a cui associare questa trasformazione è quello di Jordan Bardella, giovane, curato, telegenico, perfetto per le immagini e per i social. La trasformazione è estetica, ma anche culturale: essere «radicali ma non volgari» diventa una regola politica prima ancora che di stile, ha spiegato il belga Tom Van Grieken.

Sul piano dei contenuti non è che sia cambiato granché rispetto al passato. Le parole d’ordine sono sempre le stesse: immigrazione, sicurezza, identità nazionale, rifiuto della cultura “woke”. A cambiare è stata l’abilità retorica. Le uscite razziste, le simpatie per l’autoritarismo, i legami scabrosi e non invidiabili con il Cremlino sono stati nascosti più che esibiti, almeno quando possibile. Adesso in tutti i partiti ci sono controlli sui candidati, verifica dei social, esclusione dei profili più problematici. Anche nella famiglia europea dei Patrioti d’Europa vengono bocciati i nomi giudicati troppo estremi. E a volte non basta: in Gran Bretagna poche settimane fa la deputata Sarah Pochin ha detto di vedere in tv molte «pubblicità piene di neri e di asiatici», costringendo il partito Reform Uk a gestire l’ennesima crisi comunicativa.

In Germania, Alice Weidel sta provando da tempo a smarcare la sua Alternative für Deutschland (AfD) dalla Russia. «Non dovremmo continuare così», ha detto riferendosi ai viaggi in Russia, provando a dare al suo partito un’aria più rispettabile, più accettabile per un elettorato ampio. «Io stessa non ci andrei, né lo consiglierei a nessuno». Ma in realtà alcuni dirigenti del suo partito hanno mantenuto contatti e partecipazioni a eventi vicino al Cremlino anche dopo l’invasione dell’Ucraina. Perché il senso di tutta quest’operazione, che è solo cosmetica, è apparire più moderati senza cambiare davvero l’agenda. Una presa in giro dell’elettorato.

Secondo Politico Europe c’è un chiaro modello da seguire per tutta la destra europea. È quello di Fratelli d’Italia, quindi di Giorgia Meloni. Nessuno potrebbe dire che il partito della Presidente del Consiglio abbia abbandonato le sue storiche posizioni politiche o rinnegato il suo passato, ma sicuramente è stata brava a renderle compatibili con l’esercizio del potere – almeno in apparenza. Poi, certo, toccherebbe alle opposizioni far notare che sebbene ci sia stata la professionalizzazione di un’agenda radicale, questo non può bastare a renderla più moderata. È solo più professionale, e forse diventando più professionale può diventare più efficace – e questo è ancora più radicale. È questo l’elemento chiave: non è una destra che cambia, è una destra che impara a governare.

In questo nuovo scenario, l’estrema destra non si presenta più come una rottura, ma come parte del sistema. Non è più un problema esterno alla democrazia: ora è un elemento strutturale. È solo più ordinata, più fotogenica, più spendibile. La sfida allora non è riconoscerla, ma imparare a disinnescarla mentre prova a camuffare la sua vera identità.

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