L’illusione di poter separare politica estera e politica interna

Uno degli argomenti più forti a favore del governo guidato da Giorgia Meloni sta nella solidità della sua politica estera, in particolare per avere mantenuto in questi tre anni la sua posizione a sostegno dell’Ucraina, a fronte di un’opposizione che su questa decisiva questione, e su quelle collegate della difesa e del riarmo europeo, ha visto invece una deriva non direi nemmeno putiniana, quanto più semplicemente demagogica (come in tutti gli altri campi). Per quanto riguarda il paragone con l’opposizione, vorrei avere qualcosa di significativo da obiettare a questo argomento, ma non ce l’ho, e quindi devo tenermi le osservazioni di chi, come diversi lettori di questa newsletter, la pensa così (ne ho pubblicate alcune lunedì).
Per quanto riguarda Meloni, vorrei invece invitare a una maggiore cautela nel giudizio sulla sua politica estera, che non è priva di ambiguità. La visita di Viktor Orbán a Roma ci ha ricordato proprio questo, al di là delle polemiche più o meno pretestuose (obiettivamente, dal video di Repubblica si sente chiaramente che non ha detto le parole che gli sono state attribuite).
Come scrive Carmelo Palma, il fatto che le dichiarazioni di Orbán contro l’Ue – quelle che ha effettivamente pronunciato, s’intende – mettano in imbarazzo la nostra presidente del Consiglio non significa che Meloni abbia smesso di pensarla come lui: «Marciano divisi, con stili differenti, ma continuano a colpire uniti e a condividere l’obiettivo fondamentale della paralisi europea come condizione privilegiata di libertà e sovranità politica nazionale e come prezioso servizio alla strategia di Donald Trump».
In molti sembrano comunque cullarsi nell’idea che l’adesione al trumpismo o l’affinità con Orbán restino confinate nell’ambito della politica estera. A me pare un’idea anacronistica, l’illusione di potere così facilmente separare politica estera e politica interna, come si è potuto fare in Europa, fino a un certo punto, nella felice e pacifica stagione aperta dalla caduta del Muro di Berlino. Prima del 1989, ai tempi della guerra fredda, certo non potevamo permetterci un simile lusso, e temo che non possiamo più permettercelo neanche adesso.
Questo almeno è quello che ho pensato leggendo il bel saggio di Mario Del Pero, “Buio Americano” (il Mulino), dedicato agli Stati Uniti e al mondo nell’era Trump, che nelle sue pagine conclusive dice proprio così: «La torsione autoritaria interna è in una certa misura speculare (e complementare) a quella imperiale esterna». E così come non si può separare la politica estera di Trump dalla sua politica interna, perché, come scrive Del Pero, l’una punta «ad affrancare gli Stati Uniti dalle costrizioni dell’interdipendenza e al conseguente recupero della presunta sovranità perduta», mentre l’altra «esprime la volontà di liberare la presidenza dai vincoli imposti dalla Costituzione, dal suo sistema di pesi e contrappesi», così non è possibile separare una presunta politica estera democratica e filoeuropea di Meloni dalla sua linea sovranista, filo-trumpiana e filo-orbaniana, e purtroppo è ancora più arduo immaginare di potere separare una simile linea di politica estera dalla sua politica interna. Se un leader non esita a schierarsi apertamente con chi ha fatto e sta facendo di tutto per soffocare la democrazia e lo stato di diritto nel proprio Paese, non si vede perché non dovrebbe fare altrettanto qui, qualora se ne presentasse l’occasione.
Leggi anche l’articolo di Chiara Squarcione su questo argomento
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