ARC Raiders Anteprima


C’è qualcosa di affascinante nel vedere un gruppo di ex-DICE tornare a sporcarsi le mani con un progetto nuovo, ambizioso, quasi temerario. Arc Raiders nasce proprio da questa urgenza: quella di recuperare un certo modo di intendere lo sparatutto online, fatto di sensazioni tattili, ritmo, caos organizzato, ma anche di stupore e libertà.
Annunciato ai The Game Awards del 2021, il titolo di Embark Studios ha attraversato un percorso lungo e tortuoso, cambiando pelle più volte prima di arrivare a quello che è oggi. Non più soltanto un PvE cooperativo, ma un’esperienza ibrida, un PvPvE extraction adventure dove ogni missione può trasformarsi in una storia da raccontare.
A pochi giorni dal lancio ufficiale del 30 ottobre, ho avuto modo di giocare per altre quattro ore con la build finale di Arc Raiders, e quella che era curiosità è diventata quasi ossessione. Perché più lo conosci, più capisci che non stai solo giocando un altro sparatutto. Stai partecipando a qualcosa che sembra voler ridefinire la grammatica stessa del genere.
Arc Raiders Anteprima | Caos, cooperazione e sopravvivenza
Giocare ad Arc Raiders significa accettare il disordine. Ogni sessione è un piccolo esperimento sociale in tempo reale, una combinazione di cooperazione, tensione e puro istinto di sopravvivenza. L’obiettivo è sempre lo stesso — raccogliere risorse e fuggire prima che il tempo scada — ma il modo in cui tutto si svolge cambia di continuo.
In una delle mie partite, per esempio, un compagno di squadra ha trovato la chiave della botola d’estrazione. L’ha attivata, si è lanciato dentro e la botola si è richiusa di colpo, lasciando me e un altro giocatore bloccati fuori, con il timer che segnava appena due minuti alla fine del match.
È in quei momenti che Arc Raiders dà il meglio di sé: quando l’adrenalina ti mozza il fiato, corri verso una stazione della metro improvvisata, e senti il battito accelerare mentre fuori piovono missili dall’alto. Non è uno script, non è una cutscene. È la somma di scelte, errori e istinti umani.
Ed è proprio questo il segreto del gioco: l’imprevedibilità. Ogni partita diventa una piccola avventura emergente, un racconto che nessun algoritmo può ripetere due volte. È la sensazione di essere sempre in bilico tra controllo e caos, tra strategia e improvvisazione, che rende Arc Raiders unico.
È lo stesso tipo di adrenalina che un tempo ti dava Battlefield quando crollava un grattacielo e tu eri lì, sotto le macerie, a capire se eri ancora vivo.
E non è un caso. Stefan Strandberg, il creative director e co-fondatore di Embark, è lo stesso uomo che curava il comparto audio dei vecchi Battlefield. E quella scuola lì si sente eccome. Arc Raiders non solo suona bene, ma suona vivo. Ogni ronzio di drone, ogni fruscio del vento, ogni silenzio carico di tensione racconta qualcosa.
Non è il classico “sentite come è realistico lo sparo”, ma piuttosto “sentite come respira il mondo intorno a voi”. Ti ritrovi su una collina, con la tempesta che incombe, e avverti la distanza dei suoni, i passi che rimbombano nella roccia, il canto metallico dei detriti. Poi, all’improvviso, il nulla: un silenzio perfetto che diventa esso stesso parte della musica. È un’esperienza sonora che pochi giochi moderni riescono a replicare, e che restituisce al mondo di gioco un peso e una presenza quasi fisica.
La bellezza di un disastro organizzato
Anche visivamente, Arc Raiders colpisce per la sua coerenza estetica. Le mappe non sono semplici arene, ma luoghi che sembrano vissuti, costruiti su un passato riconoscibile e un futuro alieno. La nuova ambientazione montana che ho provato, inedita rispetto ai test precedenti, è un capolavoro di atmosfera: bunker nascosti da scoprire, chiavi da trovare, droni che ti braccano tra le nebbie e un panorama che alterna tramonti aranciati e tempeste elettromagnetiche.
Ogni partita è diversa anche solo per questo. Le condizioni climatiche cambiano — può piovere, può calare la notte, può scatenarsi un incendio o una tempesta — e con esse cambia anche il ritmo dell’azione. E quando la bellezza visiva si sposa con un sonoro di questa portata, nasce una sinfonia di caos e meraviglia che ti fa dimenticare persino gli obiettivi della missione. Ti fermi un secondo, guardi la vallata, e pensi: “Ok, forse potrei anche restare qui a sentire il vento”.
Ma non puoi. Perché Arc Raiders non ti lascia mai davvero respirare. Mentre esplori, mentre saccheggi, mentre cerchi di sopravvivere, sai che qualcuno — umano o robotico — ti sta già osservando. E quando arriva il conflitto, è quasi sempre improvviso, violento, necessario.
Eppure, anche nei momenti più concitati, esiste spazio per l’imprevisto sociale. La chat vocale con prossimità, per esempio, introduce dinamiche quasi da gioco di ruolo: puoi sentire un nemico che parla da una caverna distante, puoi chiedere una tregua o implorare aiuto, e a volte — incredibilmente — funziona davvero.
Ti rialzano, ti lasciano scappare, o collaborano per eliminare una minaccia più grande. Sono quei rari momenti di umanità dentro un mondo spietato che rendono il tutto ancora più credibile.
Un futuro che parla italiano
C’è poi l’aspetto artistico, forse quello meno discusso ma più interessante. L’ambientazione di Arc Raiders trae ispirazione da un’Italia distopica e parzialmente sommersa. La cittadella in cui ci rifugiamo, Speranza, in tanti la confondevano con la Galleria Vittorio Emanuele di Milano, ma in realtà si tratta della Galleria Umberto di Napoli, reinterpretata in chiave retro-futuristica. È un dettaglio, certo, ma dice tanto della visione del team.
Embark ha voluto creare un mondo dove la memoria del passato convive con la fantascienza di un domani molto distante. Architetture italiane, tute da pilota e meccaniche da sopravvivenza si fondono in un’estetica a metà tra il retro-futurismo e l’arte industriale.
È un mix strano, coraggioso, ma perfettamente coerente. E quando ti ritrovi a combattere tra colonne, vetri infranti e luci al neon, capisci che questa scelta stilistica non è solo un vezzo visivo, ma un atto di identità.
Il rischio e la promessa
Nonostante l’entusiasmo, Arc Raiders non è privo di rischi. Il passaggio da PvE a PvPvE porta con sé un pericolo concreto: quello della tossicità, dei giocatori iper-competitivi pronti a rovinare l’esperienza altrui.
Durante il test, mi è capitato più volte di essere eliminato a un minuto e mezzo dall’inizio del match, senza motivo apparente. È frustrante, ma fa parte del gioco. È il prezzo della libertà che Embark ha deciso di concedere ai suoi giocatori.
Il punto sarà capire se questo equilibrio fragile potrà reggere nel lungo periodo. Il team ha già dichiarato di voler supportare il titolo per almeno dieci anni — una promessa ambiziosa, forse ingenua, ma anche un segnale di fiducia. Perché Arc Raiders non è pensato per esaurirsi dopo una manciata di partite: vuole crescere, mutare, reinventarsi nel tempo.
Il rischio più grande, semmai, è quello della saturazione. Quando un’esperienza è così intensa e piena di stimoli, l’effetto noia può arrivare più in fretta del previsto. Embark lo sa, e ha introdotto un sistema di missioni, chiavi e quest dinamiche per mantenere l’interesse alto, ma solo il tempo dirà se basterà.
D’altra parte, la sensazione è che il gioco abbia fondamenta solide. Il gunplay è preciso, il feedback delle armi è fisico, la progressione chiara ma non invadente. E, soprattutto, si percepisce quella passione quasi artigianale che si era persa negli shooter moderni: quella voglia di costruire esperienze più che semplici partite.
Un nuovo inizio per gli shooter cooperativi
Dopo quattro ore di gioco, non posso ancora dire se Arc Raiders sarà il prossimo fenomeno del multiplayer. Ma posso dire con certezza che è uno dei progetti più interessanti dell’anno, una boccata d’aria fresca in un genere che da troppo tempo si ripete.
C’è una cura rara nel modo in cui Embark unisce estetica, atmosfera e design sistemico. Ogni elemento, dal sonoro alle interazioni sociali, è pensato per creare storie spontanee, piccole odissee digitali che appartengono solo a chi le vive.
In un’industria dove tutto tende a essere guidato dall’algoritmo, Arc Raiders è un promemoria del potere dell’imprevisto. Della bellezza di perdersi, di fallire, di provare ancora. E se anche non dovesse durare dieci anni, queste prime ore bastano per capire una cosa: Embark ha osato dove altri si sono fermati. E, almeno per ora, il risultato è qualcosa che vale la pena di raccontare.
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