Google AI Overview e la fine dell’informazione gratuita: come l’IA sta riscrivendo le regole dell’editoria online
lentepubblica.it
C’è stato un tempo, non troppo lontano, in cui l’equilibrio tra Google e gli editori digitali sembrava quasi perfetto. Ma ora le cose sembrano cambiate.
In principio, da un lato, i siti fornivano contenuti gratuiti e ben indicizzati, dall’altro il motore di ricerca garantiva loro visibilità e quindi ricavi pubblicitari. Un patto non scritto ma chiaro: io ti porto lettori, tu mi dai informazione di qualità.
Oggi, con l’arrivo di Google AI Overview, questo fragile accordo sembra incrinarsi. La nuova funzionalità, basata sull’intelligenza artificiale generativa, mostra direttamente nella pagina dei risultati un riassunto delle informazioni più rilevanti, spesso senza che l’utente senta la necessità di aprire alcun link.
Il risultato? Un drastico calo di traffico verso i siti di notizie e di approfondimento, che mette a rischio la sopravvivenza di un intero ecosistema editoriale, in particolare quello dei piccoli editori indipendenti.
Un motore di ricerca che diventa editore
L’AI Overview nasce con l’obiettivo dichiarato di semplificare la ricerca, offrendo risposte immediate e sintetiche alle domande degli utenti. In pratica, quando si digita una query su Google, l’algoritmo genera un testo di sintesi elaborato a partire dalle fonti più affidabili, presentandolo in cima alla pagina.
Se per l’utente il vantaggio è evidente — meno tempo speso a cliccare tra risultati simili — per chi vive di contenuti digitali è l’inizio di un problema strutturale. L’intelligenza artificiale di Google, infatti, attinge proprio ai testi di quegli editori che oggi sta penalizzando. E lo fa senza che essi possano beneficiare di quel traffico che fino a ieri rappresentava la linfa vitale per sostenere redazioni, collaboratori e server.
Dietro ogni clic mancato c’è una perdita economica tangibile: meno visitatori significano meno visualizzazioni pubblicitarie, quindi meno introiti. Per un piccolo sito di informazione locale o un blog specializzato, anche un calo del 20% può tradursi in una crisi difficile da gestire. Eppure, è esattamente ciò che sta accadendo in queste settimane, da quando l’AI Overview è stato introdotto in modo più esteso.
La sopravvivenza dei piccoli editori nell’oceano di Google
Per anni, i piccoli editori hanno imparato a navigare nell’immenso mare del web grazie alle regole non scritte della SEO, l’ottimizzazione per i motori di ricerca. Ogni parola chiave, ogni titolo e ogni immagine venivano studiati per intercettare l’attenzione di Google, nella speranza di apparire tra i primi risultati.
Era una forma di sopravvivenza digitale: più alta era la posizione, maggiore la possibilità di attrarre lettori e inserzionisti.
Con AI Overview, però, questa logica salta. Le informazioni vengono compresse in una risposta unica, sintetica e priva di link immediati ai contenuti originali. In sostanza, Google diventa il punto di arrivo, non più di partenza, di ogni ricerca.
Un piccolo editore che pubblica guide, notizie o approfondimenti su temi di nicchia — dalla politica locale alle recensioni di prodotti — rischia così di essere invisibile, non perché i suoi contenuti siano di minore qualità, ma perché l’intelligenza artificiale ha già risposto per lui.
Molti si domandano se sia corretto che Google, pur non essendo un editore, assuma un ruolo così centrale nella selezione e nella rielaborazione delle informazioni. La linea di confine tra motore di ricerca e produttore di contenuti si fa sempre più sottile, e la concorrenza diventa quasi impossibile per chi non dispone di risorse o infrastrutture tecnologiche paragonabili a quelle del colosso di Mountain View.
Quando anche i grandi subiscono il colpo
Non sono soltanto i piccoli a pagare il prezzo del cambiamento. Anche realtà consolidate con milioni di lettori stanno subendo gli effetti del nuovo sistema.
Lo ha raccontato, ad esempio, Salvatore Aranzulla, uno dei divulgatori tecnologici più conosciuti in Italia. In un’intervista a HDBlog.it ha spiegato che, da quando AI Overview è comparso nelle ricerche, il traffico sul suo sito è calato in media del 25%. Un dato significativo, che si traduce in una riduzione proporzionale dei ricavi pubblicitari. “Se il traffico diminuisce — ha osservato — si riducono anche le entrate, e diventa più difficile sostenere il lavoro di chi produce i contenuti”.
Aranzulla ha toccato un punto cruciale: la fine di quel “patto implicito” che per due decenni ha sorretto l’economia dell’informazione digitale. Google offriva visibilità in cambio di contenuti. Ora, invece, rielabora proprio quei contenuti per generare risposte dirette, sottraendo agli autori la possibilità di beneficiare del loro stesso lavoro.
“Scrivi un articolo su quale sia lo smartphone migliore — ha spiegato — e al posto del mio link l’utente trova un testo che riassume, parafrasandole, le valutazioni mie o dei miei collaboratori. È un danno evidente”.
Cosa rischiano i piccoli editori (e i lettori)
Il rischio più immediato è economico: molti piccoli siti d’informazione potrebbero non sopravvivere. Senza entrate pubblicitarie né modelli di abbonamento sostenibili, la chiusura o la fusione con gruppi più grandi diventa quasi inevitabile.
Ma la posta in gioco è molto più alta. Ogni testata indipendente che scompare rappresenta una voce in meno nel panorama informativo, un punto di vista che si perde. Il pluralismo — già messo a dura prova dalla concentrazione dei media tradizionali — rischia così di essere sacrificato sull’altare dell’efficienza algoritmica.
C’è poi un altro aspetto: l’appiattimento dei contenuti. Se i riassunti generati dall’intelligenza artificiale diventano la fonte primaria di informazione per milioni di persone, la varietà delle opinioni e delle sfumature rischia di scomparire. L’AI tende a restituire risposte “medie”, prive di quella complessità che solo l’occhio umano può cogliere.
E quindi anche i lettori rischiano grosso: il problema è che oramai la maggior parte degli utenti si sofferma esclusivamente su cosa suggerisce l’AI, senza ulteriormente approfondire. Scontato dire che ciò che suggerisce l’Intelligenza Artificiale il più delle volte non è abbastanza specifico e, alle volte, non è neanche del tutto corretto. Si va dunque incontro a un “vulnus” che non è di poco conto: contenuti e concetti “errati”, senza mettere in conto che chi controlla le AI potrebbe persino manipolarli.
In un mondo dove la conoscenza è ridotta a sintesi automatica, la diversità delle voci — e dunque la democrazia informativa — si impoverisce.
I grandi quotidiani si rifugiano negli abbonamenti
C’è però una differenza sostanziale tra chi ha un nome consolidato e chi vive ai margini del sistema mediatico. I grandi gruppi editoriali — come Repubblica, Corriere della Sera, Il Sole 24 Ore o Italia Oggi — possono contare su una base di lettori fedeli disposti a pagare per accedere a contenuti esclusivi.
Negli ultimi anni hanno infatti puntato con decisione sul modello degli abbonamenti digitali, riservando una parte sempre più consistente delle notizie agli utenti registrati. Una strategia che consente loro di ridurre la dipendenza dal traffico organico di Google e dalle oscillazioni del mercato pubblicitario.
Per un piccolo giornale online, però, questa strada è quasi impraticabile. La gratuità dei contenuti è l’unico modo per restare visibili e competere con testate molto più note. Ma se Google intercetta le risposte prima che il lettore clicchi, quel fragile equilibrio economico si dissolve.
La pubblicità come ancora di salvezza (e di affanno)
Privati delle entrate generate dal traffico, molti piccoli editori cercano di compensare con un maggiore ricorso alla pubblicità.
Banner lampeggianti, pop-up invasivi, finestre automatiche: tutto pur di non scomparire. Ma questa corsa alla monetizzazione ha un prezzo alto, perché compromette la leggibilità e l’esperienza dell’utente.
L’informazione rischia di trasformarsi in una giungla visiva, dove trovare un contenuto diventa un’impresa e dove la qualità passa in secondo piano rispetto alla necessità di generare clic.
Il paradosso è evidente: per restare gratuiti, i siti devono bombardare i lettori di annunci. Ma più la pubblicità è invadente, più i lettori si allontanano, aggravando la crisi di fiducia verso l’informazione online. È un circolo vizioso da cui sembra difficile uscire.
Anche i grandi finiscono nella trappola
Eppure, la precarietà non riguarda soltanto i piccoli. Persino i grandi quotidiani nazionali, un tempo sinonimo di autorevolezza e solidità, sono sempre più dipendenti da pubblicità di bassa qualità.
Basta scorrere le pagine web di testate blasonate per trovare gli stessi annunci che un tempo comparivano solo su siti marginali: creme miracolose, investimenti improbabili, test sul quoziente intellettivo a pagamento. Una trasformazione che racconta meglio di qualsiasi dato la crisi strutturale del settore.
Solo pochi anni fa, Repubblica o Corriere della Sera accettavano esclusivamente campagne di grandi marchi, in linea con il loro profilo editoriale. Oggi, di fronte al crollo dei ricavi pubblicitari tradizionali e alla frammentazione del pubblico, anche loro devono accettare inserzioni che abbassano il tono complessivo della comunicazione.
È il segno di un mercato sempre più impoverito, dove la pubblicità non premia più il valore dei contenuti ma soltanto il volume di visualizzazioni.
Un’industria in crisi d’identità
Il nodo centrale è che l’intero modello economico su cui si reggeva l’informazione online è entrato in crisi. La gratuità dei contenuti aveva senso finché esisteva una filiera che garantiva compensi adeguati agli autori. Ma quando l’intermediazione tecnologica si appropria del valore informativo — offrendo sintesi automatizzate e risposte preconfezionate — l’informazione perde la sua moneta di scambio.
L’AI Overview, in questo senso, è solo l’ultimo passo di un processo che dura da anni: la progressiva disintermediazione dell’informazione. Google, come altre piattaforme, non produce notizie ma decide quali mostrare, come organizzarle e a chi farle vedere. È un potere editoriale a tutti gli effetti, esercitato però da un soggetto che non risponde alle regole e alle responsabilità tipiche del giornalismo.
C’è una via d’uscita?
La domanda che molti si pongono è se esista una strategia per arginare questo processo.
Alcuni propongono che Google riconosca un compenso agli editori per l’uso dei loro contenuti, sul modello di quanto già avviene con Google News Showcase. Ma al momento le trattative sono complesse e non sempre favorevoli ai più piccoli.
Altri suggeriscono di puntare su modelli alternativi, basati su comunità di lettori fedeli, donazioni o crowdfunding. Tuttavia, costruire una base solida richiede tempo, fiducia e risorse, elementi spesso fuori portata per le piccole realtà.
Un’altra possibilità è la collaborazione tra testate, per creare piattaforme condivise di distribuzione e promozione dei contenuti. Ma anche questa ipotesi richiede una visione comune che oggi manca.
Il rischio è che, nell’attesa di una regolamentazione più chiara sul ruolo delle intelligenze artificiali nei motori di ricerca, il danno diventi irreversibile.
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