L’Ue cerca un ruolo da protagonista nel commercio globale

L’Unione europea vuole partecipare al grande gioco del commercio globale, e vuole un ruolo da protagonista. Mentre Stati Uniti e Cina si muovono per firmare accordi che evitano dazi reciproci pesantissimi, e dopo l’annuncio di Pechino sulla restrizione all’esportazione di terre rare, Bruxelles fa di tutto per non rimanere con il cerino in mano.
In occasione del Berlin Global Dialogue 2025, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha avanzato alcune proposte concrete per evitare il rischio che l’Europa sia irrilevante, di essere cioè messa all’angolo dalla competizione tra Stati Uniti e Cina. Per questo ha annunciato un nuovo piano RESourceEU – sulla falsariga dell’iniziativa REPowerEU lanciata nel maggio 2022 per far fronte alla crisi dei prezzi dell’energia innescata dall’invasione russa in Ucraina – con l’obiettivo di fronteggiare il problema della scarsità delle terre rare di origini cinesi e salvare così le imprese europee.
Il ReSourceEU sarà presentato entro la fine dell’anno e l’obiettivo è garantire l’accesso a fonti alternative di materie prime essenziali a breve, medio e lungo termine per l’industria europea. Il piano includerà misure per promuovere l’economia circolare, in modo da riutilizzare al meglio le materie prime essenziali già contenute nei prodotti venduti in Europa, acquisti collettivi e stoccaggio strategico. Inoltre, ha detto von der Leyen, «accelereremo i lavori sui partenariati per le materie prime essenziali con paesi come Ucraina, Australia, Canada, Kazakistan, Uzbekistan, Cile o Groenlandia». Proprio il giorno prima, l’Ue ha siglato uno di questi accordi rafforzati (Epca) con l’Uzbekistan.
Nel discorso tenuto sabato 25 ottobre a Berlino, von der Leyen ha detto: «Siamo pronti a usare tutti gli strumenti a nostra disposizione per rispondere, se necessario». Von der Leyen rivede nella decisione di Pechino di ridurre la quantità di terre rare in commercio il rischio di un ricatto simile a quello subito dalla Russia di Vladimir Putin sul fronte energetico. Va ricordato che la Cina controlla circa il settanta per cento dell’estrazione globale e fino al novanta per cento della raffinazione di terre rare a livello mondiale. E l’Unione europea è vulnerabile perché dipendente dalle importazioni cinesi di queste materie prime critiche, fondamentali per la doppia transizione verde e digitale, così come lo era dal gas di Mosca prima dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina. «Se si considera che oltre il novanta per cento del nostro consumo di magneti in terre rare proviene dalle importazioni cinesi, si comprendono i rischi per l’Europa e i suoi settori industriali più strategici, dall’automobile ai motori industriali, passando per la difesa, l’aerospaziale, i chip per l’intelligenza artificiale e i centri dati», ha ammesso la presidente della Commissione europea. Un «rischio significativo», una «minaccia per la stabilità delle catene di approvvigionamento globali» che «avrà un impatto diretto sulle imprese europee».
In un mondo in cui gli altri attori globali si muovono velocemente, in cui la competitività è legata alla sicurezza, l’Europa deve tenere il passo. E riformare le proprie istituzioni per dare risposte adeguate agli shock della geoeconomia, essere indipendente, dalla difesa alle terre rare. E ad oggi, le cose sono profondamente interconnesse: un esercito moderno, ad esempio, non può funzionare senza terre rare, poiché implicate nella progettazione di droni, aerei, sottomarini, mezzi, oltre a moltissimi altri utilizzi.
In questo primo quarto di ventunesimo secolo, la corsa alle terre rare è una delle grandi sfide globali, spinta dalla crescita esponenziale della richiesta di questi elementi.
Per proteggere l’economia dei suoi Stati membri e, di conseguenza, le imprese di tutto il continente, Bruxelles può disporre dello strumento anti-coercizione entrato in vigore nel dicembre 2023 e ancora mai utilizzato. Questo offre – in caso di minacce commerciali deliberate di Paesi terzi – un ventaglio di contromisure che vanno dall’imposizione di dazi alle restrizioni al commercio dei servizi e agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale, fino a restrizioni all’accesso agli investimenti diretti esteri e agli appalti pubblici. A soli tre mesi dal vertice Ue-Cina in cui si sono celebrati i cinquant’anni delle relazioni diplomatiche tra Bruxelles e Pechino, l’ipotesi di ricorrere a un’arma così invasiva rende l’idea della fragilità delle relazioni internazionali in questo momento – il rapporto con la Cina non fa eccezione.
Le politiche commerciali aggressive dell’amministrazione Trump hanno intensificato la competizione strategica con Europa e Cina, esaltando la necessità, anche per l’Unione europea, di sviluppare un’indipendenza trasversale per cercare di non rimanere schiacciata tra due giganti economici e politici, o dalle altre potenze emergenti (India e Russia soprattutto).
Ecco che quindi l’attenzione di tutti è proiettata sulla prossima tappa del tour asiatico di Donald Trump: il 30 ottobre incontrerà il presidente cinese Xi Jinping in Corea del Sud. L’incontro arriva dopo settimane di forte tensione tra le due principali economie mondiali, tensione poi smorzata dall’accordo quadro trovato lo scorso fine settimana e prodromico a un’intesa concreta tra i due Paesi.
Dopo l’annuncio della Cina sulle restrizioni all’export di terre rare e tecnologie correlate, a Bruxelles e a Washington è scattata l’allerta. E per fortuna dopo i vertici diplomatici degli ultimi giorni – oltre al dialogo con gli Stati Uniti, il presidente del Consiglio europeo António Costa ha incontrato il premier cinese Li Qiang – sembra che Pechino sia già intenzionata a rimandare di un anno l’entrata in vigore delle restrizioni. È un segnale di disgelo e per l’Unione europea è un messaggio confortante. Ma adesso Bruxelles ha bisogno di trovare una via per ridurre la sua dipendenza dalle altre potenze e mettere il suo futuro al riparo da eventuali ritorsioni.
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