“L’importanza di chiamarsi Ernesto” è uno spettacolo per smascherare l’ipocrisia della società

A partire dal 4 novembre 2025 il Teatro Franco Parenti ospita nella Sala Grande L’importanza di chiamarsi Ernesto di Oscar Wilde, in una versione diretta dal regista, attore e drammaturgo Geppy Gleijeses. Il testo, scritto nel 1895 e rappresentato per la prima volta al St. James’s Theatre di Londra, torna in scena con la traduzione di Masolino D’Amico e un cast guidato da Lucia Poli e Giorgio Lupano, insieme a Maria Alberta Navello, Luigi Tabita, Giulia Paoletti, Bruno Crucitti, Gloria Sapio e Riccardo Feola. Le scene sono di Roberto Crea, i costumi di Chiara Donato, le musiche di Matteo D’Amico.
La produzione è firmata dal centro di produzione teatrale Dear Friends e ArtistiAssociati. Gleijeses affronta uno dei testi più noti del teatro inglese dell’Ottocento senza attualizzarlo, evitando aggiornamenti o forzature, ma scavando nei ritmi e nei tempi comici. La commedia, costruita come una macchina logica e morale, è un esercizio di ironia che continua a funzionare proprio perché fondato su un presupposto elementare: la falsità come motore della rispettabilità.
La regia di Gleijeses lavora utilizzando un ritmo controllato e toni calibrati. L’azione si muove tra il salotto londinese e il giardino della campagna inglese, due spazi che Crea disegna senza eccessi decorativi. L’effetto è quello di un mondo rarefatto, chiuso nelle convenzioni di un’alta società che Wilde smonta con il sorriso. La traduzione di D’Amico mantiene la leggerezza del dialogo originale, restituendo i giochi di parole e le ambiguità linguistiche che reggono l’intera costruzione.
Lucia Poli imposta poi il personaggio di Lady Bracknell come una figura monumentale, fredda, tagliente. Il suo controllo della scena è totale, ogni pausa e inflessione produce un effetto di distacco che amplifica la comicità. Giorgio Lupano dà al suo Jack Worthing un tono disinvolto e lievemente malinconico, mentre Luigi Tabita interpreta Algernon Moncrieff. Maria Alberta Navello e Giulia Paoletti – rispettivamente Gwendolen e Cecily – incarnano invece due versioni dello stesso sogno romantico.
L’impianto visivo non cerca la ricostruzione storica, ma suggerisce atmosfere attraverso l’utilizzo di colori neutri, linee pulite e oggetti essenziali. Gleijeses evita ogni interpretazione moralistica. Lascia che sia la scrittura di Wilde a parlare, evidenziando la logica dell’assurdo che muove la vicenda. Il risultato è una messinscena priva di manierismi, dove la precisione del ritmo comico rivela la struttura filosofica nascosta sotto la superficie dello spettacolo. L’importanza di chiamarsi Ernesto è una riflessione sulla costruzione dell’identità, sull’obbligo sociale della menzogna e sul potere distruttivo dell’ironia.
L'articolo “L’importanza di chiamarsi Ernesto” è uno spettacolo per smascherare l’ipocrisia della società proviene da Linkiesta.it.
Qual è la tua reazione?
Mi piace
0
Antipatico
0
Lo amo
0
Comico
0
Furioso
0
Triste
0
Wow
0




