L’indubbio merito di aver fermato le stragi, dopo averle incoraggiate

Le scene di giubilo nelle piazze di Tel Aviv come nelle strade di Gaza, o in quel che ne resta, testimoniano il valore dell’accordo raggiunto tra Israele e Hamas, merito indiscutibile di Donald Trump. Qualunque cosa si pensi delle atrocità che l’hanno preceduto, e di cui Trump porta una grossa quota di responsabilità, e di tutti i limiti e le incognite che restano da superare, e anche di queste Trump porta gran parte della responsabilità, non si può non esultare per il semplice fatto che l’intesa sia stata siglata.
Secondo Haaretz «al di là della prima fase, non c’è un orizzonte politico», perché le questioni più difficili sono lasciate senza risposta, ed è ovviamente un grosso problema. Ma la prima fase è pur sempre quella che prevede la fine della carneficina per i palestinesi e la liberazione degli ostaggi israeliani. E non è poco. Come dice Christian Rocca, «se perfino Hamas, oltre ai già convinti paesi arabi, è d’accordo sul processo di pace, mentre solo gli estremisti della destra israeliana, della teocrazia iraniana e dei talk show italiani mostrano il muso imbronciato, c’è poco da fare gli schizzinosi sul progetto apparecchiato dagli agenti immobiliari di Donald Trump».
Uniamoci dunque senza remore alla generale esultanza delle piazze mediorientali. Ma non fino al punto da perdere del tutto il senno, e non vedere il tentativo della destra al governo di rivenderci i principali responsabili della tragedia di questi due anni, Trump e Netanyahu, come lungimiranti statisti e benefattori dell’umanità. Il fatto che entrambi i nostri vicepresidenti del Consiglio, Antonio Tajani e Matteo Salvini, ieri abbiano sentito per prima cosa l’esigenza di esternare pubblicamente la convinzione che Trump meriti davvero il premio Nobel per la pace indica chiaramente la china che stiamo prendendo.
E a modo suo lo conferma pure Matteo Renzi, intervistato su Repubblica, quando si affretta a spiegare come il merito della svolta storica sia tutto di Tony Blair, che avrebbe convinto Trump. Come dice il proverbio: la fissazione è peggio della malattia. Un po’ di cautela in più, da parte di tutti, forse non guasterebbe. Per quel che riguarda il passato, quanto accaduto fino a oggi in Palestina, lo si chiami pulizia etnica, sterminio o genocidio, non è qualcosa che possa essere riscattato da qualsivoglia ricaduta politica o diplomatica, e nemmeno semplicemente dimenticato. Quanto al futuro, a testimoniare la vaghezza e la pericolosità della situazione basta e avanza che ancora ieri Trump abbia detto di non avere una posizione precisa sulla necessità dei due stati, israeliano e palestinese.
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