Nuove leve: la moda italiana che nasce fuori dalle passerelle

La Milano Fashion Week, edizione Spring/Summer 2026, sarà ricordata come quella dei grandi debutti – Demna per Gucci, Dario Vitale da Versace, Louise Trotter a Bottega Veneta – ma chi si è spinto oltre le luci della ribalta ha trovato un fermento altrettanto vitale. Un panorama costellato di progetti collaterali, brand emergenti, performance e piattaforme educative che hanno offerto un racconto alternativo della moda italiana. Meno legato alla spettacolarizzazione dei big brand, più radicato nell’urgenza di dare voce a una generazione che sta ancora cercando la propria identità.

Scuole, fondazioni e piccoli marchi emergenti si sono fatti spazio tra i big della moda internazionale proponendo la loro visione: ancora entusiasta ma al tempo stesso realista. Di certo, degna di nota.
Le scuole come palestra di futuro
Tra i progetti più emblematici parlando di giovani durante la MFW c’è Milano Moda Graduate, appuntamento ormai stabile nel calendario CNMI. Quest’anno 16 studenti, selezionati da otto scuole italiane (NABA, IUAV, IED, Accademia Costume & Moda, Marangoni, Modartech, Secoli, Brera), hanno presentato le loro collezioni davanti a una giuria internazionale di esperti. Non è un semplice show studentesco: è un rito di passaggio, un trampolino che mette in dialogo formazione e industria (vista la collaborazione con produttore mondiale di cerniere lampo e sistemi di chiusura YKK). Accompagnato inoltre da un percorso di mentoring che include workshop su sostenibilità, mercati internazionali, comunicazione digitale.

Dal backstage della sfilata di IED.
Un altro esempio è stata la sfilata Unstage di IED Milano, ospitata alla Galleria Lia Rumma. Qui la moda è diventata performance, aperta dalla voce ipnotica di Scarlett Rouge: un atto corale costruito con i lavori di 13 neo-designer. Non una passerella ma un paesaggio di gesti, suoni e corpi, che ha smontato i confini tradizionali dello show per avvicinarsi all’arte contemporanea.
Tra le collezioni, storie di resilienza (come quella di Li Chien, che in Memoria errante rievoca il viaggio del nonno rifugiato in Taiwan), diari intimi (come quelli di Giovanni Piccirilli, che in Cruising Time intreccia memoria, desiderio e piacere), riflessioni sulla vulnerabilità (Aurora Perinelli, con Corpo vulnerabile), il corpo queer (Riva Karin Migita Ficici, che analizza gli standard estetici in Asia orientale con Rosy Retrospection Clinic) e la memoria familiare (Teresa Giannattasio, che evoca radici e speranza nei suoi campi d’autunno). Un progetto che ha dimostrato come la formazione possa produrre non solo abiti, ma linguaggi politici ed estetici.
Hub e piattaforme: la rete invisibile
La nuova moda italiana cresce in aula, per poi trovare visibilità grazie a piattaforme ibride. Il Fashion Hub di Camera Nazionale della Moda Italiana, allestito a Palazzo Giureconsulti, si è confermato fucina di progetti innovativi. Due principali: Future Threads: Italy’s New Wave, che ha esposto le ultime novità dei creativi più giovani della moda italiana, come Durazzi Milano, Federico Cina, Francesco Murano e Institution. E New Gen, New Ethos, un ciclo di presentazioni dedicato a designer internazionali emergenti, da Chelsea Jean Lamm a Victor Weinsanto, insieme ai talenti sostenuti dall’Afro Fashion Association.

L’ormai iconica tortellino bag di Federico Cina.
Altra tappa significativa della MFW Pe26 è stata S|Style Denim Lab, una mostra ibrida curata da Giorgia Cantarini con il supporto del Material Innovation Lab (MIL) di Kering. Qui il denim è stato decostruito come materiale simbolo delle contraddizioni dell’industria: universale e ribelle, ma anche tra i più impattanti dal punto di vista ambientale. Otto designer hanno ripensato questo tessuto con processi innovativi a ridotto consumo d’acqua e tinture sperimentali. Tra loro, la britannica Macy Grimshaw, finalista dell’ITS Contest 2025, che ha presentato una visione personale e poetica del denim, trasformandolo in veicolo di memoria e narrazione intima. E la danese Sia Arnika, che ha fuso folklore nordico e suggestioni futuristiche in un approccio visionario, capace di trasformare il denim in materia fluida per abiti immaginifici.

Sia Arnika al S|Style Denim Lab.
I nomi italiani da tenere d’occhio
Accanto ai progetti collettivi sostenuti dalle scuole, ci sono creativi che oggi abitano una terra di mezzo: non più esordienti, ma neppure stabilmente consacrati. In un panorama italiano che si muove con lentezza, dominato da nomi e istituzioni storiche, questi designer continuano a portare freschezza e ricerca, pur restando in bilico tra l’etichetta di emergenti e il riconoscimento pieno del sistema.

Dal backstage della collezione PE25 di Institution by Galib Gassanoff.
È il caso di Institution, il progetto di Galib Gassanoff, che con la collezione Su ha intrecciato spiritualità e artigianato caucasico trasformando giacche, tessuti intrecciati a mano e materiali naturali in abiti che tengono insieme tradizione e contemporaneità. Di Lorenzo Seghezzi, che con Interludio ha traslato la scena clubbing milanese e la cultura queer in un’estetica teatrale fatta di corsetti e piume, restituendo la complessità di una comunità in continua trasformazione. Di Giuseppe Buccinnà, che ha fatto della pelle il suo campo di sperimentazione, piegandola e trattandola fino a renderla seta o tessuto intrecciato, in un dialogo costante tra ingegneria e corpo. E infine di Francesco Murano, forse il più vicino alla consacrazione internazionale, capace di leggere la classicità con occhi futuristici e di offrirne versioni che conservano quella freschezza che troppo spesso le maison sembrano avere smarrito.

Brand emergenti già in passerella: Francesco Murano PE26.
Un futuro da proteggere
Queste voci, seppur diverse, condividono una condizione di precarietà. Essere un designer emergente in Italia – e non solo – significa muoversi tra la creatività e le leggi del mercato, che rischiano di piegare o cancellare un’identità creativa ancora in formazione. Il paradosso è evidente. Da una parte le maison cercano costantemente “nuove voci” da inserire nel proprio gioco di scrivanie, con direttori creativi sostituiti con una rapidità che rende difficile costruire continuità. Dall’altra, chi sceglie la strada indipendente deve affrontare una corsa ad ostacoli: produzione, distribuzione, comunicazione, sostenibilità economica. La sfida, per i giovani, non è soltanto trovare una voce autentica, ma reperire le risorse per trasformarla in un progetto duraturo: restare sull’onda senza piegarsi troppo alle logiche del mercato.
La Milano Fashion Week SS26 ci ha ricordato che il futuro della moda non si gioca solo sulle passerelle scintillanti delle Maison, ma nei corridoi delle scuole e negli spazi dei fashion hub. Se il sistema saprà dare continuità a queste voci – non solo celebrarle per una stagione, ma sostenerle nel tempo – allora la moda italiana potrà davvero rigenerarsi. Altrimenti resterà intrappolata nella sua contraddizione più evidente: quella di invocare sempre il nuovo, senza mai investirci davvero.
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