Per fare un cocktail bar serve una drink list

Fare oggi un cocktail bar non significa più solo saper miscelare bene. Significa costruire un linguaggio, definire un’estetica, creare un racconto coerente che parta dal bancone e arrivi fino al menu. La drink list, un tempo semplice elenco di proposte, è diventata la sintesi di una filosofia di accoglienza: il manifesto liquido di un luogo. Non a caso i bar più interessanti del mondo curano la carta come si curerebbe un libro d’artista, un progetto di design o un film corale. È accaduto al Mandarin Oriental di Milano, dove ogni nuova lista è un viaggio tematico che unisce ricerca, tecnica e narrazione visiva, trasformando la consultazione del menu in un’esperienza sensoriale completa.
In questo panorama si inserisce oggi la nuova Design Collection del Rita Cocktails, storico bar milanese fondato da Edoardo Nono, che presenta una drink list ispirata al design italiano della seconda metà del Novecento. È un omaggio alla Milano del boom economico, alla creatività di Lucio Fontana, Ettore Sottsass, Bruno Munari, alla città che cresceva insieme ai suoi simboli architettonici – il Pirellone, la Torre Velasca – e alla nascita di un gusto moderno in cui estetica e funzionalità dialogavano in continuo equilibrio.
«Volevamo raccontare i nostri drink attraverso oggetti che appartenessero alla memoria collettiva», spiega Andrea Arcaini, bar manager del Gruppo Rita. Ogni cocktail prende ispirazione da un’icona del design italiano: Arco dei fratelli Castiglioni diventa un Whiskey sour floreale, con un arco disegnato in garnish e un richiamo al marmo nella texture; Ultrafragola di Sottsass è un morbido cocktail alla fragola e panna, longilineo e rétro; Ghost di Cini Boeri è limpido e balsamico come il vetro; ezzadro e UP5 evocano mondi e gesti quotidiani con ingredienti che raccontano l’Italia più autentica, tra grappa, Campari e rum.
Ogni drink è pensato come dialogo tra materia e idea, tra forma e gusto. A completare il progetto, un lavoro fotografico di Luca Meneghel, la grafica e i testi di Cecilia De Conti, e un menu cartaceo che è esso stesso oggetto di design, con disegni, infografiche e un racconto visivo che invita a scoprire l’opera e il cocktail in un unico gesto.
Anche le proposte analcoliche trovano spazio, legandosi con ironia al tema del “non bere quando si guida”: si chiamano come mezzi di trasporto e completano una lista che interpreta l’accoglienza come cultura, non come semplice servizio.
Nel mondo della mixology contemporanea, la drink list è diventata una dichiarazione d’intenti. Racconta chi sei, cosa pensi, come accogli. È la porta d’ingresso al mondo che un bar sceglie di costruire un mondo fatto di sapori, certo, ma anche di pensiero. E per questo, oggi, per fare davvero un cocktail bar serve una drink list che ne racconti il pensiero e l’identità.
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