Per Trump gli attacchi alle navi nel Pacifico non sono atti ostili, se li fanno i droni

Novembre 4, 2025 - 03:30
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Per Trump gli attacchi alle navi nel Pacifico non sono atti ostili, se li fanno i droni

Per Donald Trump gli attacchi con i droni alle navi nel Mar dei Caraibi non rientrano nelle operazioni militari, per cui la sua amministrazione può continuare a bersagliare a piacimento senza violare il diritto internazionale.

Secondo la Casa Bianca, quando a colpire sono i velivoli senza pilora, non è guerra. È una linea giuridica – e politica – fuori di senno, usata in maniera strumentale per per giustificare la prosecuzione dei bombardamenti: nel Mar dei Caraibi e nel Pacifico orientale gli Stati Uniti hanno attaccato quattordiciimbarcazioni sospettate di traffico di droga, uccidendo finora sessantadue persone.

Il punto è tecnico ma cruciale, spiega il New York Times. Il War Powers Act del 1973 – approvato dopo la guerra nel Vietnam per limitare l’autonomia militare dei presidenti – impone di interrompere qualsiasi operazione armata non autorizzata dal Congresso entro sessanta giorni. Trump aveva notificato la prima missione il 4 settembre: la scadenza, quindi, cade il 4 novembre. Domani dovrebbe fermarsi tutto. Ma secondo il Dipartimento della Giustizia, quella norma non si applica.

Il capo dell’Ufficio legale del Dipartimento, T. Elliot Gaiser, ha spiegato ai membri del Congresso che le “operazioni anti-narcos” non costituiscono «ostilità». Il motivo, dice, è che i droni colpiscono da navi in acque internazionali, a distanza tale da non mettere in pericolo i militari americani. «Si tratta di attacchi precisi condotti da velivoli senza pilota, troppo lontani per esporre il personale statunitense a rischi diretti», ha detto un funzionario della Casa Bianca.

Non è la prima volta che un’amministrazione statunitense fa ricorso a questa giustificazione. Barack Obama la usò nel 2011 per dare legittimità alla guerra aerea in Libia oltre il limite dei sessanta giorni, sostenendo che bombardare da migliaia di metri d’altezza non equivaleva a «entrare in ostilità». All’epoca la teoria fu contestata anche all’interno della sua stessa amministrazione. Ora Trump la riprende, ampliandola: se nessun soldato americano rischia la vita, non è guerra. E negli ultimi anni, guardando soprattutto al fronte di guerra ucraino, abbiamo imparato a vedere quanto i droni siano diventati centrali e protagonisti in ogni conflitto.

La conseguenza è chiara: il War Powers Act, nato per restituire al Congresso il potere di dichiarare guerra, viene svuotato un attacco alla volta. Negli anni, praticamente tutti i presidenti l’hanno aggirata in un modo o nell’altro. Ma l’interpretazione dell’amministrazione Trump va oltre tutte le interpretazioni precedenti.

Gli esperti di diritto costituzionale fanno notare che questo approccio consolida la tendenza a trasformare l’eccezione in regola, riducendo il potere del Congresso a un ruolo puramente consultivo. È anche un precedente pericoloso per il futuro: ogni presidente potrà autorizzare missioni letali senza limiti temporali, finché non ci saranno truppe a terra o scambi di fuoco diretti.

Ma per molti osservatori intervistati dal New York Times il vero nodo è politico: se l’attacco di un drone, che colpisce chilometri di distanza, non conta come atto di guerra, allora la guerra diventa invisibile, e il controllo del Congresso un mero orpello.

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Redazione Redazione Eventi e News