Picierno chiede chiarezza nel Pd, «i congressi si fanno per questo»

Pubblichiamo il discorso pronunciato da Pina Picierno all’incontro dei riformisti del Pd ai Bagni Misteriosi a Milano.
Le parole di Raphaël Glucksmann ci raccontano la fragilità dei tempi che viviamo, in cui il confine tra guerra e pace è sempre più incerto. I populismi e i nazionalismi alimentano divisioni e disordine, le autocrazie restringono le libertà e cercano di imporre nuove sfere di influenza. Contro la forza della legge, contro il diritto internazionale, si fa strada la legge del più forte. A questo tempo duro e pericoloso noi possiamo dare una sola risposta: l’Europa.
Come ha ricordato il Presidente Mattarella, «il mondo ha bisogno dell’Europa per non soccombere ai regimi autocratici». E noi dobbiamo assumerci questa responsabilità, non solo nei confronti dei nostri cittadini, ma rispetto a tutti coloro che lottano per la libertà.
La lotta per la difesa dello stato di diritto e della democrazia devono tornare a essere una priorità del nostro Partito. Ci chiamiamo democratici non a caso, c’è un destino nel nome che ci siamo scelti, siamo figli della forza e del coraggio e della visione di Romani Prodi e Walter Veltroni, di chi ha visto in queste lotte l’unico modo possibile di stare nel dibattito pubblico.
E se c’è una cosa che abbiamo imparato da loro, è che quando la democrazia si ammala, scadono anche le condizioni politiche e sociali. Lo raccontano le statistiche ma basta aprire gli occhi e guardare al mondo: nei regimi autocratici crescita significa sfruttamento per molti e ricchezza per pochi, significa meno diritti e nessuna tutela, significa essere condannati ad una perpetua forma di ingiustizia sociale.
Per questo se oggi vogliamo parlare di crescita, dobbiamo tornare a parlare di partecipazione, alzare il livello di salute democratica che ha come sintomo più evidente l’astensionismo.
Se le autocrazie si stringono attorno al mito del potere illimitato, se esiste una “s.p.a. delle autocrazie”, noi dobbiamo connettere il network dei liberi e dei forti, investendo sul futuro della democrazia. Ma ultimamente sembriamo dimenticarlo troppo spesso, presi dalla smania di essere presenti nel dibattito pubblico con la parola più forte.
Ma amici e amiche noi siamo forti e credibili se sappiamo dire la parola che apre all’alternativa, non quella che porta il dibattito nella curva di uno stadio, come fa la destra.
In queste settimane ho letto molto spesso di una distinzione tra riformisti da salotto e riformisti di popolo. Per inciso qui c’è solo chi si sporca le scarpe da Kyjiv a Ventotene, dal nord delle imprese fino a quel sud dimenticato che torna utile solo quando c’è da fare qualche accordo elettorale; qui ci sono donne e uomini che si sono fatti le ossa nella provincia più sperduta d’Italia.
Ho letto pure del principio di unità utilizzato come clava per affossare il pluralismo, a me avevano insegnato che unità è raggiungere sintesi utili.
Io penso sia tutto figlio di un dibattito vecchio, di una idea vecchia: quella che vorrebbe i riformisti ridotti a moderatori degli estremi. Sbagliato!
E forse è il caso di raccontare cosa significa essere riformisti oggi. Lo è chi sente la resistenza di un popolo di fronte a una oppressione di stampo imperialista come quella di Putin come la propria resistenza. Lo è chi reagisce se un alleato si astiene addirittura sulla illegittimità del regime di Lukashenko, perché sa che di fronte alla dittatura e all’oppressione dei popoli non ci possono essere opinioni perché siamo nel campo che definisce i principi fondamentali.
Lo è chi sa che un’Europa fragile e indifesa non può difendere la pace. Chi sa che pacifismo non può significare mai disimpegno imbelle di fronte alla violenza e alla sopraffazione del più forte, perché quello non significa essere pacifisti ma collusi coi violenti.
È riformista chi sente la responsabilità di guardare al mondo per come è, senza piegarlo ai nostri desideri, e avverte il bisogno di volerlo cambiare. Altro che conformismo, altro che moderatismo. Ci vogliono tigna e forza, insieme alla convinzione che il futuro può essere migliore, ma non grazie a una bacchetta magica, se si ha il coraggio di costruirlo passo dopo passo, nonostante la fatica dei passi brevi, di quelli corti. È il coraggio di continuare a guardare all’orizzonte anche quando l’orizzonte sembra lontano.
Un paio di giorni fa, una nostra consigliera comunale di Pordenone, Irene Pirotta su Instagram ci ha rivolto una domanda: si vuole un partito più grande, più popolare, o più piccolo e populista?
E oggi siamo qui per rispondere alla domanda di Irene e di tante e tanti altri. Serve chiarezza anche dentro il Pd, e non bisogna avere paura di fare questa chiarezza. E nemmeno dei luoghi in cui farla: i congressi si fanno per questo, per discutere della linea politica. Non abbiamo paura di discutere, di confrontarci su cosa deve essere il Pd, abbiamo ancora voglia di lottare per ritrovare il Pd che siamo nati per essere, un partito libero, forte e coraggiosamente riformista».
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