Valor Mortis Provato – Gamescom 2025


C'è una memoria muscolare, quasi un'impronta digitale neurologica, che One More Level ha impresso a fuoco nel cervello di chiunque abbia amato Ghostrunner. È la memoria di una danza fulminea e letale, un balletto di morte cibernetico scandito dal ronzio di una katana al plasma e dal ritmo martellante della synthwave.
Quel gioco era una dichiarazione d'intenti, la sublimazione di una filosofia di design tanto pura quanto spietata: movimento perpetuo, precisione millimetrica, e la regola non scritta del colpo singolo, dove tanto il giocatore quanto i suoi nemici erano fragili come vetro.
Era un'esperienza che viveva in simbiosi con la sua estetica, un mondo fatto di cromo, neon e abissi digitali che era il perfetto parco giochi per un cyber-ninja. E poi, quegli stessi maestri della velocità letale, senza alcun preavviso, decidono di spegnere le luci al neon e di accendere le torce.
L'annuncio di Valor Mortis è stato un fulmine a ciel sereno, uno shock tematico che ha sostituito i grattacieli con guglie gotiche, i circuiti con le catene e l'acciaio cromato con la pietra umida.
Il rischio, di fronte a un cambio di scenario così radicale, è quello di pensare a una semplice operazione di "reskin", di prendere una formula vincente e appiccicarle sopra una nuova carta da parati. Ma sarebbe un errore, un'analisi superficiale che non tiene conto della vera sfida che il team polacco ha deciso di affrontare.
La vera domanda, quella che ci ha accompagnato fino allo stand allestito qui alla Gamescom, è molto più profonda: come si traduce una grammatica di gioco così specifica, così legata alla fluidità acrobatica di un ninja potenziato, nel linguaggio più pesante e brutale di un mondo fantasy oscuro?
Può la filosofia del "one-hit kill" sopravvivere in un contesto di armature e scudi? E come si evolve il parkour quando le superfici non sono più lisce pareti di metallo, ma mura diroccate e campi di battaglia?
La scommessa di One More Level non è estetica, è concettuale. Ed è una scommessa che, dopo averla vista con i nostri occhi in una demo tanto breve quanto incredibilmente densa, sembra essere stata vinta nel modo più spettacolare e violento possibile.
Valor Mortis Provato - Gamescom 2025
Ci sono giochi che ti si appiccicano addosso senza chiedere permesso. Non hanno bisogno di trailer spettacolari o slogan roboanti: basta un’ora in fiera, una mezz’ora col pad tra le mani, e sei già dentro, col cervello che macina e la voglia di continuare a giocare.
Valor Mortis è esattamente questo. È il nuovo progetto degli stessi autori di Ghostrunner 1 e 2 e già questo, per chi li conosce, dice molto. Solo che qui non c’è più il futuro ipercinetico, non ci sono i neon sparati e le skyline cyberpunk.
Al loro posto c’è un passato alternativo, distorto, contagiato da qualcosa che non ha nome ma che fa venire in mente le atmosfere più gotiche, quasi malate. È un passato napoleonico che non è mai esistito, e che proprio per questo affascina.
L’idea di fondo è quella di mescolare l’anima frenetica e verticale di Ghostrunner con la struttura punitiva dei Souls. Detta così potrebbe sembrare una follia, un Frankenstein di sistemi ludici cuciti insieme.
In realtà è uno di quei matrimoni che, una volta provato, ti fa dire: “Certo, come ho fatto a non pensarci prima?”. Io stesso non sono mai stato un grande fan dei Souls: li apprezzo, sì, ma non vivo per loro.
Eppure Valor Mortis mi ha preso alla gola.
La sezione provata, probabilmente l’inizio del gioco, mi ha catapultato in un mondo che sembra uscito da un incubo storico. Ci si sveglia in un’ambientazione che ricorda il periodo di Napoleone, ma distorto, marcio, corrotto da qualcosa di innominabile.
Soldati che sembrano posseduti da un virus, corpi deformati, bubboni che pulsano sotto uniformi logore. Un’estetica che vira verso il gotico più cupo, con vibrazioni che mi hanno ricordato persino Kafka: l’idea che dietro ogni angolo ci sia un orrore inspiegabile, una minaccia che non puoi definire ma che senti addosso.
E mentre ti guardi intorno con sospetto, ti accorgi che nulla stona. La fusione tra elementi storici e invenzioni bizzarre funziona, perché tutto è piegato allo stesso scopo: creare un mondo che ti inquieta e ti attrae allo stesso tempo.
E poi c’è il combat system. Qui si vede la mano degli autori di Ghostrunner. Si parte con la sciabola, alternando fendenti e parate, e già lì senti che il ritmo è diverso dal solito soulslike: più veloce, più vicino alla reattività degli action moderni, ma senza perdere la necessità di osservare, di studiare i pattern.
Poco dopo arriva la pistola, e tutto cambia di colpo. I nemici hanno punti deboli da sfruttare, zone vulnerabili che se colpite fanno crollare posture e resistenze.
Mi hanno assicurato che arriveranno altre armi, tutte legate al periodo storico, e già così il sistema regge benissimo. La cosa sorprendente è che nulla sembra fuori posto: puoi sparare, puoi parare, puoi usare il fuoco per infliggere danni prolungati.
Ogni pezzo è al suo posto, senza forzature.
Una delle cose che mi ha colpito è stata la progressione. Non ci sono classi, niente gabbie preimpostate: si cresce attraverso un albero di abilità, e quelle abilità hanno un impatto vero.
Non è “+1 al danno”, ma meccaniche che cambiano il modo di giocare: la parata che incide di più sulla postura del nemico, la resistenza che cala se rompi i tempi giusti.
La postura, in particolare, è centrale. Ed è qui che torna fuori Sekiro, con quell’idea di incrinare la difesa per aprire la strada al colpo finale.
Lo sviluppatore accanto a me – lo stesso che mi aveva seguito l’anno scorso durante la prova di Ghostrunner 2, quasi un déjà vu – lo ha confermato sorridendo: “Sì, c’è tanto Sekiro qui dentro”. E io non ho potuto che annuire.
E poi ci sono le boss fight. Nella mia prova ho affrontato due scontri: il primo contro un nemico élite, già impegnativo. Il secondo, invece, una vera e propria battaglia in più fasi.
Qui Valor Mortis ha mostrato il suo potenziale. Io mi sono concentrato sulle parate e sui colpi mirati ai punti deboli con la pistola, ma il gioco mi ha fatto capire che avrei potuto usare anche altri approcci: il fuoco, per esempio, che infligge danni continui, o la gestione chirurgica delle schivate, fondamentali quando il boss sfoderava attacchi imparabili.
La schivata, tra l’altro, è praticamente identica a quella di Stranger of Paradise per tempismo e precisione richiesta.
Ma non è finita: a un certo punto il boss ha evocato una sfera energetica. In quel caso potevi solo due cose: scivolare via in tempo o, se avevi riflessi buoni, estrarre la pistola, spararle e rimandarla indietro al mittente, infliggendo danni enormi.
Sono momenti così a farti capire la coerenza del sistema. Non sono gimmick, ma meccaniche pensate per intrecciarsi e dialogare.
Il bello è che tutto questo non si porta dietro inciampi tecnici. La build, forse ancora in alpha, girava liscia. Fluida, pulita, senza sbavature.
Non ho trovato bug evidenti, e questo per un titolo ancora in sviluppo è un segnale forte. A colpirmi è stata anche la naturalezza con cui Valor Mortis legge i tempi degli attacchi dei nemici.
Non è mai ingiusto. Ti costringe a prestare attenzione, ma ti offre sempre lo strumento per rispondere.
Uscendo dalla postazione ero galvanizzato. Mi sono ritrovato con quella sensazione rara: “Fatemi giocare ancora”. Mi hanno detto che a settembre arriverà una demo in occasione dello Steam Next Fest, probabilmente pubblica e disponibile anche su PlayStation.
Non vedo l’ora. Perché sì, è vero, sulla carta sembrava un azzardo: un Souls in prima persona, con dentro Ghostrunner e suggestioni gotiche napoleoniche.
Ma una volta provato non hai dubbi. Funziona. Funziona maledettamente bene.
Valor Mortis è un ibrido che non teme paragoni: ha dentro l’ossessione di Dark Souls, l’eleganza marcia di Bloodborne, la disciplina di Sekiro e la frenesia verticale di Ghostrunner.
Eppure non è nessuno di questi. È qualcos’altro. Qualcosa che merita attenzione.
Se entrerete nella demo di settembre, preparatevi: non ne uscirete facilmente. Io stesso, ancora adesso, ci penso e mi ripeto: davvero, fatemi giocare ancora.
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