A Cotronei il museo del rock dedicato agli Aerosmith è diventato un caso giudiziario
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Doveva essere un progetto capace di rilanciare un intero borgo montano della Sila, un’iniziativa culturale ambiziosa che prometteva di fondere memoria, musica e identità locale.
Invece, il cosiddetto “museo del rock” dedicato al leggendario leader degli Aerosmith, Steven Tyler, è oggi al centro di una complessa indagine giudiziaria che ha travolto amministratori, funzionari e imprenditori. Un’idea nata con entusiasmo, trasformata in poco tempo in un intricato caso di presunti appalti truccati, fondi regionali dirottati e corruzione diffusa.
Secondo quanto emerso dalle indagini, il progetto — dal valore complessivo di 1,3 milioni di euro, finanziato interamente con risorse pubbliche della Regione Calabria — avrebbe dovuto riportare vitalità nel cuore storico di Cotronei, un piccolo comune della provincia di Crotone. L’obiettivo dichiarato era quello di dare nuova vita a Palazzo Bevilacqua, antico edificio dove visse il nonno di Steven Tyler, Giovanni Tallarico, prima di emigrare negli Stati Uniti.
Un luogo simbolico, scelto per ospitare una scuola di musica e uno spazio espositivo dedicato alla carriera del frontman americano, ponte ideale tra la tradizione calabrese e la cultura rock internazionale.
Ma dietro l’entusiasmo iniziale, si nascondeva un meccanismo ben diverso. L’inchiesta della magistratura — che coinvolge quindici persone, tra cui due ex sindaci, ex assessori e dirigenti comunali — ha portato alla luce un presunto sistema di favoritismi, false dichiarazioni e appalti pilotati. Le accuse spaziano dal falso ideologico alla truffa aggravata per l’ottenimento di fondi pubblici, fino alla concussione, alla corruzione elettorale e all’abuso d’ufficio. Un mosaico di reati che, secondo gli inquirenti, andrebbe ben oltre il singolo progetto culturale, toccando un intero modo di gestire la cosa pubblica.
L’inizio di una vicenda complessa
Le prime crepe in questa storia si sono aperte nel 2022, quando lo stesso Steven Tyler è intervenuto pubblicamente per esprimere il suo disappunto. Il cantante, venuto a conoscenza del fatto che il museo non sarebbe più sorto a Palazzo Bevilacqua ma in un capannone alla periferia del paese, aveva diffidato l’amministrazione comunale dall’utilizzare il suo nome in qualsiasi modo. Una presa di posizione che ha suscitato clamore mediatico e acceso i riflettori sulla gestione del progetto.
L’idea iniziale, infatti, era stata accolta con entusiasmo dallo stesso Tyler, che aveva promesso di partecipare all’inaugurazione del museo insieme alla figlia, l’attrice Liv Tyler. L’annuncio aveva scatenato grande curiosità anche a livello internazionale: il borgo silano, fino a quel momento quasi sconosciuto, si preparava a diventare meta di appassionati di musica rock da tutto il mondo. La prospettiva di un evento così rilevante avrebbe potuto generare un importante indotto turistico ed economico per l’intera area.
Tuttavia, a pochi mesi dall’avvio dei lavori, qualcosa è cambiato. La decisione improvvisa di spostare la sede del futuro museo da un palazzo storico nel cuore del paese a un edificio industriale da ristrutturare in periferia — acquistato per quasi 120mila euro — ha sollevato più di un sospetto. La modifica del progetto, giustificata ufficialmente con motivazioni tecniche e di sicurezza, ha invece attirato l’attenzione degli inquirenti, che hanno cominciato a indagare sulla catena di decisioni e sugli appalti collegati.
Il ruolo della magistratura e i sospetti sulle forniture
Dalle prime verifiche è emerso un modus operandi ritenuto irregolare in più passaggi. Le procedure di assegnazione dei lavori e delle forniture, secondo quanto riportato dagli investigatori, sarebbero state manipolate per favorire aziende vicine ad alcuni amministratori. Non solo: in cambio di appoggi elettorali, due imprenditori avrebbero ricevuto la promessa di organizzare eventi finanziati con fondi pubblici, pur non avendo alcun legame con il progetto del museo.
La rete di relazioni e scambi di favori ipotizzata dagli inquirenti avrebbe permesso di ottenere fondi e incarichi attraverso documenti falsificati e relazioni tecniche alterate, gonfiando i costi e deviano parte delle risorse pubbliche verso scopi estranei a quelli previsti. A rendere ancora più delicata la situazione è il coinvolgimento di ex amministratori che, negli anni, avevano costruito la loro immagine politica proprio sulla promessa di trasparenza e rilancio culturale del territorio.
L’intervento della magistratura, scattato dopo la segnalazione del legale di Tyler, ha portato alla luce un intreccio complesso che, secondo alcune fonti, potrebbe estendersi anche ad altri progetti finanziati con fondi regionali e comunitari.
Un sogno tradito
Il museo del rock, che avrebbe potuto rappresentare un raro esempio di collaborazione tra memoria familiare, cultura internazionale e promozione locale, si è così trasformato in un simbolo di sprechi e opportunità mancate. Le aspettative di cittadini e artisti si sono dissolte in una nuvola di carte bollate, sospetti e promesse non mantenute.
Nel frattempo, Palazzo Bevilacqua resta chiuso e in attesa di restauri mai iniziati, mentre il capannone scelto come nuova sede del museo è un cantiere fermo, avvolto dal silenzio. Dove doveva risuonare la voce graffiante di “Dream On” o “Walk This Way”, oggi aleggia soltanto l’eco amara di una storia che avrebbe potuto essere diversa.
La riflessione: quando la corruzione ruba futuro e credibilità
Vicende come questa, purtroppo, non sono isolate. Ogni volta che un progetto pubblico viene piegato a interessi personali, non si perdono soltanto risorse economiche, ma si erode la fiducia dei cittadini e si compromette l’immagine di intere comunità. In un contesto come quello del Sud Italia — dove ogni segnale di rinascita culturale rappresenta una conquista faticosa — l’impatto di simili scandali è ancora più devastante.
Il danno non si misura solo nei bilanci comunali o nei faldoni delle procure, ma nella delusione di chi credeva in un sogno collettivo. Un museo dedicato alla storia di una leggenda del rock avrebbe potuto diventare un ponte tra continenti, un’occasione per raccontare come la Calabria e i suoi figli nel mondo siano capaci di generare cultura, passione e arte. Invece, ciò che resta è una ferita simbolica, che riflette le difficoltà croniche di un Paese che fatica a proteggere la propria integrità amministrativa.
Quando i fondi pubblici destinati alla cultura si trasformano in strumenti di consenso o guadagno illecito, il prezzo più alto lo paga l’intera nazione: si perde credibilità all’estero, si scoraggia l’investimento, si alimenta la sfiducia. L’Italia, e in particolare il Mezzogiorno, non può permettersi che l’ombra della corruzione continui a oscurare i suoi talenti, le sue bellezze e le sue potenzialità.
Il “museo del rock” di Cotronei, da sogno di rinascita, è diventato un monito: senza trasparenza, la cultura non può essere motore di sviluppo, ma rischia di diventare l’ennesimo pretesto per affari opachi e promesse tradite.
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