Non c'è diffamazione se la critica è "politica": lo sostiene la Cassazione

Novembre 17, 2025 - 22:00
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Non c'è diffamazione se la critica è "politica": lo sostiene la Cassazione

lentepubblica.it

Uno dei pilastri del nostro ordinamento democratico e costituzionale è rappresentato dalla libertà di manifestazione del pensiero, di cui all’art. 21 Cost.: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.


Uno dei modi attraverso cui si estrinseca tale libertà è il diritto di critica, ovvero un giudizio emesso nei riguardi di altri soggetti e delle loro condotte. Trattandosi, appunto, di un giudizio, va da sé che lo stesso non potrà essere squisitamente oggettivo, ma contrassegnato da una buona dose di soggettività.

Tuttavia, il confine tra critica legittima e costituzionalmente tutelata e diffamazione è estremamente sottile, soprattutto quando si entra nel terreno del confronto politico.

È proprio questo il caso su cui si è pronunciata la Corte di Cassazione, Quinta Sezione Penale, con la sentenza n. 29859 del 27 agosto 2025.

Il caso

La vicenda ruota attorno alle tensioni sorte in un piccolo Comune, dove un cittadino ha contestato in più occasioni l’operato del Sindaco e degli uffici tecnici, arrivando a formalizzare le sue accuse in alcune lettere e in un’e-mail inviate non solo all’amministrazione, ma anche ad altri enti pubblici. Da qui la denuncia del primo cittadino per diffamazione e un procedimento giudiziario che, dopo la condanna in primo grado e un parziale ridimensionamento in appello, è approdato dinanzi alla Suprema Corte.

Gli Ermellini hanno dunque colto l’occasione per chiarire quali siano i limiti e le garanzie che tutelano chi solleva questioni di interesse pubblico, anche con toni piuttosto accesi.

Un lungo scontro tra cittadino e amministrazione

Il protagonista della vicenda è un cittadino di un piccolo Comune, il quale era convinto che l’amministrazione non stesse esaminando correttamente un progetto planivolumetrico relativo a una specifica area territoriale. L’iter urbanistico, secondo la sua ricostruzione, era caratterizzato da una serie di omissioni, ritardi, scarsa trasparenza e presunte irregolarità.

L’interessato decideva così di mettere per iscritto le sue contestazioni, inviando due lettere e un’e-mail al Sindaco, agli uffici competenti, ad altri enti pubblici e, secondo l’accusa, anche ai cittadini del Comune. In tali comunicazioni denunciava una gestione poco chiara della pratica amministrativa, allegando documenti, richiamando norme e chiedendo ripetutamente spiegazioni rimaste, a suo dire, prive di riscontro.

Le accuse di diffamazione aggravata e la difesa dell’imputato

Il Sindaco sporgeva querela per diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma 3, c.p., ritenendo che quelle affermazioni non costituissero una mera critica politica, ma fossero accuse lesive della sua reputazione personale e professionale.

Il Tribunale di Monza, nel 2023, condannava l’imputato, ritenendo che il contenuto delle missive fosse effettivamente idoneo a ledere l’onore del primo cittadino. La Corte d’appello di Milano, nel 2025, confermava la responsabilità penale, ma escludeva l’aggravante del mezzo di pubblicità.

La difesa dell’imputato, però, asseriva che lo stesso non voleva affatto diffamare il Sindaco, ma piuttosto esercitare un legittimo diritto di critica politica, fondato su fatti che egli riteneva veri o comunque verosimili. Un elemento non marginale della vicenda, infatti, è rappresentato dalla testimonianza della capogruppo consiliare di minoranza, la quale aveva effettivamente portato la questione in Consiglio comunale già nel 2011, sollecitando chiarimenti rimasti inevasi e chiedendo accesso agli atti. Un dato che, secondo la difesa, rafforzava la ragionevole convinzione dell’imputato sulla fondatezza delle proprie accuse.

La decisione della Cassazione: quando la critica politica diventa diffamazione e quando no

La Suprema Corte ha ritenuto che la Corte d’appello non avesse valutato in modo adeguato l’argomentazione centrale della difesa, ovvero la possibile applicazione dell’art. 51 c.p., che esclude la punibilità di chi agisce esercitando un diritto, anche nella forma putativa, cioè quando l’autore ritiene in buona fede, e per ragioni plausibili, di esserne titolare.

Secondo la Cassazione, il diritto di critica politica – espressione fondamentale della libertà garantita dall’art. 21 Cost. – non presuppone una verità processualmente accertata, ma una verità quantomeno plausibile, purché l’autore abbia svolto un minimo di verifica e agisca sulla base di elementi oggettivi. Ciò che conta è che la critica sia continente, non degeneri in attacchi personali e riguardi temi di interesse pubblico.

In questa prospettiva, la Corte ha osservato che:

  • le lettere dell’imputato erano articolate e documentate, non costituendo semplici invettive;
  • il contenuto era destinato alle istituzioni e non a un pubblico indistinto;
  • la finalità era sollecitare un intervento o una risposta dall’amministrazione;
  • la testimonianza della consigliera di minoranza mostrava che le presunte irregolarità erano state oggetto di una reale attenzione politica e non il frutto dell’immaginazione o del pregiudizio personale.

La sentenza impugnata è stata quindi annullata con rinvio a una diversa Sezione della Corte d’appello di Milano, che dovrà riesaminare la vicenda verificando se sussistano davvero i presupposti per applicare la scriminante del diritto di critica, anche nella sua forma putativa.

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