Assolto l’ex dipendente che criticò l’azienda: per il giudice fu solo diritto di critica

Novembre 16, 2025 - 17:00
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Assolto l’ex dipendente che criticò l’azienda: per il giudice fu solo diritto di critica

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Una mail inviata a tutta la rubrica aziendale, toni accesi e un addio tutt’altro che silenzioso. È questa la scintilla che, nel 2021, aveva dato il via a un contenzioso sfociato poi in un’aula di tribunale.


Protagonista, un lavoratore di 45 anni che, dopo più di sette anni alle dipendenze di una società con sede nel territorio di Bondeno, nel Ferrarese, aveva scelto di rassegnare le dimissioni accompagnandole con una lunga lettera. Nel messaggio – spedito a colleghi, dirigenti, presidente e vicepresidente – l’uomo aveva elencato ciò che, a suo giudizio, non funzionava nell’organizzazione interna dell’azienda.

Un’uscita di scena di forte impatto, che i titolari non avevano affatto gradito. Secondo la società, quelle parole avrebbero danneggiato l’immagine e la reputazione dell’impresa, tanto da spingerla a sporgere querela per diffamazione aggravata. Una scelta drastica, motivata dalla convinzione che la mail andasse oltre una semplice esternazione di malcontento personale, trasformandosi invece in un attacco ingiustificato.

A distanza di tempo, però, la giustizia ha offerto una lettura ben diversa: il Tribunale di Mantova, chiamato a valutare il caso, ha stabilito che il contenuto della mail non integra alcun reato. Il lavoratore è stato quindi assolto perché, come ha spiegato il giudice, quelle frasi rientravano nel perimetro del diritto di critica.

La mail dell’ex dipendente

Per comprendere la vicenda, è utile ripercorrere il contenuto della comunicazione incriminata, alcuni passaggi della quale sono stati riportati anche dal Corriere della Sera nelle pagine dedicate all’area bolognese. Il 45enne, nel suo saluto finale, sottolineava come la decisione di lasciare l’azienda fosse maturata nel tempo e avesse richiesto un lungo travaglio personale: «Dopo circa sette anni e mezzo si conclude la mia avventura. Dico finalmente, perché già il primo rinnovo è stato difficile da accettare», scriveva infatti.

La mail proseguiva poi con una serie di osservazioni sui problemi riscontrati nel corso degli anni. In particolare, l’ex dipendente citava le ripetute difficoltà nel reperire gli strumenti necessari per svolgere le proprie mansioni, lamentava carenze nella struttura organizzativa interna e criticava la gestione di alcuni colleghi, che – a suo dire – sarebbero stati mantenuti all’oscuro di informazioni utili al corretto svolgimento del lavoro.

Un elenco di situazioni che, nel complesso, spiegava la sua scelta di cambiare professione.

Per i vertici dell’azienda, però, quegli appunti andavano ben oltre una semplice testimonianza personale. La mail – inviata all’intero network aziendale – appariva come una denigrazione della serietà e dell’impegno della società, un gesto che, secondo loro, poteva minarne la reputazione sia internamente sia verso l’esterno.

La battaglia legale

Da qui la decisione di intraprendere un’azione legale. Un’accusa precisa: diffamazione aggravata, in quanto le frasi contestate risultavano diffuse a un numero considerevole di persone e potevano, secondo la società, nuocere all’immagine dell’impresa.

Il giudice però ha ragionato in modo differente. Nella sentenza, il Tribunale di Mantova ha stabilito che le parole dell’ex dipendente non avevano natura diffamatoria, ma rappresentavano la manifestazione di un’opinione personale su fatti vissuti in prima persona. Le espressioni, pur dure e talvolta pungenti, rientravano nella sfera del diritto di critica, il quale consente a chiunque di commentare e valutare un’ esperienza lavorativa, purché non si trascenda in attacchi gratuiti o in affermazioni false.

Secondo la ricostruzione del giudice, nella mail non comparivano insulti, né accuse precise che violassero la dignità dei dirigenti o ledessero la reputazione dell’azienda con affermazioni oggettivamente infondate. Si trattava, piuttosto, di una narrazione soggettiva, seppur resa pubblica, che rifletteva un disagio accumulato nel tempo.

Di conseguenza, il processo si è concluso con l’assoluzione piena dell’uomo: “il fatto non costituisce reato”.

Il valore del diritto di critica

La sentenza offre lo spunto per una riflessione più ampia, che coinvolge il delicato equilibrio tra libertà di espressione e tutela della reputazione nel contesto lavorativo. Il diritto di critica, principio riconosciuto dalla giurisprudenza, consente al lavoratore di manifestare dissenso rispetto a modalità organizzative, condizioni lavorative o comportamenti ritenuti scorretti, purché tale critica rispetti determinati limiti.

La critica, infatti, deve fondarsi su elementi veri o comunque plausibili, deve essere formulata con un linguaggio civile – anche se energico – e non deve perseguire l’intento di umiliare o screditare la controparte. In altre parole, esprimere un dissenso legittimo non significa poter insultare o inventare accuse: significa manifestare un’opinione, anche pungente, su fatti che si ritengono rilevanti.

Il caso dell’ex dipendente di Bondeno è emblematico proprio perché il giudice ha riconosciuto la natura di sfogo motivato, collocandolo all’interno dei limiti accettati dalla legge. Ciò dimostra che, quando la critica nasce da circostanze reali e si esprime come valutazione soggettiva, non può automaticamente trasformarsi in un reato.

In un’epoca in cui il mondo del lavoro risulta sempre più caratterizzato da tensioni, pressioni e relazioni complesse, questa pronuncia ricorda che la libertà di parola resta un pilastro essenziale, a patto che su eserciti con misura e responsabilità.

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Redazione Redazione Eventi e News