Animal hoarding, cosa fare se riconosciamo i sintomi dell’accumulo seriale di animali


Si tratta di una condizione psichica, spesso fraintesa o ignorata, che continua a generare effetti negativi sulla qualità della vita di animali e umani
Sempre più presente nella cronaca locale, ma ancora poco conosciuta, l’animal hoarding è una psicopatologia complessa e molto impattante sulla quotidianità di chi ne soffre.
La chiamano anche sindrome di Noè, perché il soggetto che ne è colpito cerca di accogliere in casa sempre più animali da salvare, senza darsi un limite. Proviamo in questo articolo a darne un quadro generale, dando anche indicazioni pratiche su come comportarsi davanti a un caso sospetto di accumulo seriale.
Animal hoarding, fenomeno variegato e nascosto
In Italia, il primo studio scientifico in materia è stato pubblicato nel 2020. Riporta il caso di una donna italiana, residente in Lazio, che ha continuato ad adottare animali domestici ininterrottamente dal 2005 al 2019.
“La signora P. – si legge nello studio – ha accumulato oltre 450 animali (soprattutto cani, ma anche gatti e cavalli) creando gravi problemi di igiene pubblica, poiché diversi di essi risultavano affetti da malattie infettive trasmissibili all’uomo.
Nonostante i numerosi ordini di sequestro e i procedimenti giudiziari, la signora P. ha continuato a detenere illegalmente animali, procurandosene di nuovi attraverso la riproduzione di quelli già presenti in casa, l’adozione di randagi e le adozioni online, spesso tramite i social network da proprietari che desideravano cedere il proprio animale“.
Ma attenzione, non tutti i casi sono così estremi. In realtà, secondo gli esperti, il numero di animali non è di per sé determinante: anche pochi pet, se malnutriti e trascurati, possono configurare una situazione di animal hoarding.
Il problema è infatti trovarsi in una condizione in cui il numero di animali – o il loro bisogno di attenzioni o medicinali, per esempio per la presenza di patologie preesistenti – supera la reale capacità di prendersene cura, in termini, a seconda dei casi, economici, di spazio o organizzativi.
In breve tempo, in un contesto di questo tipo, verranno a mancare cibo, spazio, cure veterinarie e pulizia; le abitazioni si trasformeranno in luoghi degradati, segnati da sporcizia e odori forti, fastidiosi anche per i vicini. Si rischieranno anche zoonosi e infestazioni di parassiti.
Il profilo dell’accumulatore
Gli accumulatori hanno caratteristiche diverse ma condividono alcuni tratti: spesso sono persone sole, di mezza età, talvolta con un buon livello culturale ma con risorse – economiche e, soprattutto, di stabilità mentale – insufficienti a garantire condizioni dignitose per i pet.
Non solo. L’intenzione iniziale dell’accumulatore è nella maggioranza dei casi, positiva. L’idea è quella di salvarli, di dare loro una casa sicura.
Tra le motivazioni, spesso si intrecciano solitudine, traumi, disturbi d’ansia o tratti ossessivo-compulsivi, oltre a una totale mancanza di consapevolezza sui bisogni reali degli animali. In molti casi gli animali diventano veri e propri sostituti affettivi, unici compagni di vita, e l’idea di separarsene appare insopportabile.
È anche per questo che il fenomeno viene scoperto in genere molto tardi, quando la situazione è già compromessa.
I consigli per intervenire
Sul piano normativo non esiste ancora una legge che nomini esplicitamente l’animal hoarding, ma si possono far valere gli articoli sul maltrattamento e sulla detenzione di animali in condizioni incompatibili con il loro benessere.
Le sanzioni per questi reati possono variare, dal sequestro degli animali all’arresto, ma l’applicazione concreta di queste regole è piuttosto complessa e diseguale sul territorio. A livello locale, alcuni Comuni hanno introdotto regolamenti per limitare il numero di animali detenibili o stabilire obblighi igienico-sanitari, da verificare caso per caso.
La prima regola, se si ha notizia di una situazione potenzialmente a rischio, è non voltarsi dall’altra parte. È necessario anche agire con una buona dose di empatia per le persone coinvolte e di delicatezza, dal momento che ci troviamo di fronte a un disturbo psichico.
Una buona strategia può essere quella di segnalare innanzitutto il problema a una delle associazioni per la tutela degli animali presente sul territorio, che conosce la normativa in materia e potrà quindi dare indicazioni specifiche per la propria zona.
Dopodiché, sarà possibile procedere richiedendo un intervento da parte delle forze dell’ordine. Nei casi più gravi, si arriverà al recupero d’emergenza degli animali coinvolti, in quelli meno critici si forniranno cure veterinarie di base e si provvederà a ricollocare i pet in modo meno traumatico.
Enpa – per esempio, in una serie di contenuti divulgativi pubblicati sul blog di Enpa Brescia – ricorda a chi denuncia di non avere fretta, poiché si tratta di procedure lunghe, che richiedono molti passaggi burocratici e il coordinamento tra enti differenti.
“Solo gli organi competenti hanno l’autorevolezza per poter chiedere l’accesso ai locali privati – spiega Enpa – pertanto il supporto di Polizia Locale, Carabinieri, Vigili del Fuoco è fondamentale. In parallelo si attiva l’Ats di competenza, che fornendo un veterinario o un responsabile territoriale, verifica sul posto l’entità della situazione ed allerta le strutture veterinarie“.
In molti casi, sarà necessario anche attivare un servizio di assistenza sociale o di aiuto psicologico per l’accumulatore.
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