Case condivise e cooperative: il ritorno del mutualismo tra i giovani under 35
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A più di centocinquant’anni dalle prime esperienze nate nel pieno dell’Ottocento industriale, le cooperative di abitazione tornano oggi a occupare un posto di rilievo nel dibattito sul diritto alla casa.
In un contesto immobiliare dove i prezzi salgono e i mutui diventano sempre più difficili da ottenere, la formula cooperativa riemerge come un modello capace di coniugare solidarietà, sostenibilità economica e partecipazione diretta dei cittadini.
Negli ultimi anni, il tema dell’abitare condiviso ha assunto una nuova attualità, soprattutto nelle grandi città del Nord e del Centro Italia. A Milano, Bologna e Firenze – ma non solo – si moltiplicano i progetti nati dalla collaborazione tra enti locali, architetti, fondazioni e gruppi di cittadini che scelgono di costruire insieme non soltanto un edificio, ma una comunità. L’obiettivo non è semplicemente quello di risparmiare, ma di creare un modo diverso di vivere la casa, fondato su principi di cooperazione e sostegno reciproco.
Un modello con radici storiche
Le cooperative edilizie non sono una novità recente. La loro origine risale alla seconda metà del XIX secolo, quando, in seguito alla rivoluzione industriale, i lavoratori delle aree urbane iniziarono a unirsi per fronteggiare l’aumento dei canoni d’affitto e la scarsità di alloggi salubri. Quelle prime esperienze, ispirate al mutualismo e alla solidarietà tra soci, permisero di costruire interi quartieri popolari, accessibili a chi non poteva permettersi un’abitazione privata.
Oggi, pur in un contesto completamente diverso, i problemi di fondo restano simili: salari che non crescono al passo con i costi della vita, precarietà lavorativa, difficoltà ad accedere al credito e un mercato immobiliare spesso fuori portata per chi non dispone di un capitale iniziale consistente. È in questo scenario che la cooperazione abitativa trova nuova linfa.
Giovani e casa: la sfida della generazione precaria
Per molti under 35, l’idea di acquistare una casa appare quasi un miraggio. Gli stipendi medi, la precarietà contrattuale e l’innalzamento dei tassi di interesse rendono arduo ottenere un mutuo tradizionale. Da qui nasce la necessità di cercare soluzioni collettive, più flessibili e inclusive.
Negli ultimi anni, un numero crescente di giovani ha scelto di unirsi in gruppi di acquisto immobiliare o di partecipare alla creazione di cooperative edilizie. L’idea di fondo è semplice: condividere costi, rischi e benefici. Invece di affrontare individualmente l’onere di un mutuo, i soci sottoscrivono quote sociali, che permettono di accedere a un’abitazione con prezzi più equi e spese suddivise. In questo modo si ottengono condizioni contrattuali più vantaggiose e si evita l’indebitamento personale a lungo termine.
Come funziona una cooperativa di abitazione
Entrare in una cooperativa significa diventare parte di un progetto collettivo. I futuri residenti, in quanto soci, partecipano alle decisioni principali: dalla scelta del terreno all’impostazione architettonica, fino alla gestione degli spazi comuni. Il principio cardine è quello del mutualismo, ovvero la collaborazione tra persone che perseguono un obiettivo condiviso: costruire o acquistare una casa a condizioni accessibili.
A seconda della formula, la cooperativa può realizzare gli immobili per assegnarli in proprietà individuale ai soci una volta terminata la costruzione, oppure mantenerne la titolarità concedendo l’uso a lungo termine, con canoni calmierati. In entrambi i casi, il vantaggio economico è evidente: grazie al potere contrattuale del gruppo, si ottengono costi di costruzione e di acquisto inferiori rispetto al mercato.
Acquisto in comune e gruppi d’acquisto: alternative al modello tradizionale
La cooperativa non è l’unica strada per condividere l’accesso alla casa. Un’altra formula possibile è l’acquisto in comune, o cointestazione, che consente a più persone – spesso amici o parenti – di acquistare insieme un immobile, dividendo spese, oneri e benefici. Pur richiedendo una solida fiducia reciproca e un’attenta pianificazione legale, questa modalità consente di accedere a soluzioni abitative più ampie o meglio collocate, altrimenti fuori portata per un singolo acquirente.
Un’ulteriore opzione è rappresentata dai gruppi d’acquisto immobiliare, ispirati ai G.A.S. (Gruppi di Acquisto Solidale) nati in ambito alimentare. In questo caso, cittadini interessati a una determinata area si organizzano per negoziare collettivamente prezzi migliori con costruttori o agenzie, sfruttando il proprio potere di contrattazione.
Un cambio di mentalità
Oltre al vantaggio economico, il successo di queste esperienze risiede nel valore sociale che incarnano. Condividere la proprietà o il progetto abitativo significa anche costruire relazioni, sviluppare fiducia e creare contesti di vita più solidali. In un’epoca in cui la solitudine urbana è una delle nuove forme di disagio, abitare insieme può diventare un modo per riscoprire il senso di comunità.
Naturalmente non mancano gli ostacoli: burocrazia complessa, tempi lunghi, difficoltà di coordinamento e necessità di una gestione trasparente. Tuttavia, sempre più amministrazioni locali riconoscono l’importanza di queste iniziative e le sostengono con agevolazioni fiscali, bandi dedicati e concessioni di terreni pubblici.
Verso un nuovo modo di abitare
La rinascita delle cooperative di abitazione e delle formule di co-housing rappresenta molto più di una semplice risposta economica: è il segno di un cambio culturale. La casa non è più soltanto un bene individuale o un investimento, ma un bene comune, frutto di scelte condivise e di un impegno collettivo.
In un futuro in cui il diritto all’abitare rischia di diventare sempre più esclusivo, il ritorno alla cooperazione può offrire un modello concreto e solidale per rendere la casa accessibile a tutti. E forse, proprio attraverso queste esperienze, le città potranno tornare a essere non soltanto luoghi dove si vive, ma spazi in cui si costruisce insieme.
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