Come il Monopoly passò da gioco contro la rendita a simbolo del sogno americano

Il 24 ottobre 1929 passa alla storia come “il giovedì nero”, per gli Stati Uniti e a cascata per il resto del mondo. Per anni le fabbriche sono diventate sempre più produttive, ma la domanda di beni non è cresciuta nella stessa misura. Anche perché i prezzi delle materie prime sono crollati, assottigliando progressivamente stipendi e guadagni nel settore agricolo. La gente ha spostato i propri investimenti dalle industrie a una Borsa sempre più speculativa e slegata dall’economia reale.
Già dall’inizio della settimana le vendite di azioni incontrano poca domanda, innervosendo i risparmiatori che quel giovedì vanno nel panico. Nell’arco della giornata vengono offerti quasi tredici milioni di azioni, a prezzi sempre più bassi a mano a mano che passano le ore. L’indice della Borsa di New York crolla. I giorni successivi il fenomeno peggiora ulteriormente: anche il 29 ottobre si guadagna quindi il soprannome di “martedì nero”. Il tracollo degli Stati Uniti trascina le altre economie. Non è la causa ma il sintomo più eclatante della Grande depressione, che a quel punto accelera sensibilmente. Seguirono fallimenti di aziende, disoccupazione, ristagno del commercio estero.
È in questo clima che, a quanto si narra, appare il Monopoly: «il gioco venne inventato nel 1930 da Charles Darrow. Erano i tempi della Grande Crisi, il passatempo era economico e poi dava l’illusione di manovrare quattrini e di fare investimenti, di edificare e affittare; insomma, giocando si sperava» (Tedesco, 1985).
Nel 1929 i disoccupati statunitensi sono 1.813.000, nel 1933 oltre 13 milioni. Uno di loro è appunto Charles Darrow, già idraulico e tecnico di caldaie a vapore. Ora si arrangia con lavoretti di vario genere: ad esempio, ripara ferri da stiro e fa il venditore ambulante (Orbanes, 2007, p. 56). Ha una famiglia da mantenere, con un figlio disabile per le conseguenze della scarlattina e un altro in arrivo, e così si rimbocca le maniche. Si fa disegnare tabellone e materiali del Monopoly da un vicino di casa, il vignettista Franklin O. Alexander, e inizia a produrne copie che vende attraverso un grande magazzino di Filadelfia (Pilon, 2015, pp. 94- 100).
Confortato dai riscontri del pubblico, prova invano a venderne i diritti alla Milton Bradley e alla Parker: secondo quest’ultima, il gioco ha tre gravi difetti visto che dura troppo, è complicato e si basa su concetti ignoti alla maggior parte della gente. Lui non demorde e aumenta tirature e distribuzione. A quel punto le vendite decollano davvero. Un’amica di scuola chiama Sally Barton, moglie del presidente della Parker e figlia del proprietario, per dirle che a Filadelfia c’è un nuovo gioco che va fortissimo (Orbanes, 2007, p. 49). La casa editrice ci ripensa, mettendo Darrow sotto contratto. Presto il Monopoly diventa un best seller da 20.000 copie a settimana e i diritti d’autore rendono Darrow milionario. Un sogno americano che si avvera.
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Il 18 marzo 1935, Darrow cede alla Parker i diritti di sfruttamento economico del Monopoly dichiarandosene autore (Orbanes, 2007, pp. 66-7). Passa così all’editore anche il copyright sul tabellone e le sue specificità grafiche. Ma le tutele non sono mai troppe: mentre le vendite decollano, la Parker registra il marchio Monopoly per evitare che altri producano giochi con lo stesso titolo o con nomi simili. Per proteggere il funzionamento del gioco serve infine un brevetto e la Parker chiede anche quello. Sorpresa: la domanda è respinta perché ci sono già diversi brevetti simili, soprattutto uno del 1924 di una certa Elizabeth Magie detta Lizzie.
Magie è una donna moderna, indipendente, progressista. Dattilografa, inventa un accessorio per il carrello della macchina da scrivere che agevola lo scorrimento del foglio. Il 23 maggio 1893 lo tutela con il brevetto us498129a. Vive da sola, padrona di sé stessa, e quando mette sui giornali un annuncio con cui dice di cercare marito è per pura provocazione.
Magie è una single taxer: sostiene cioè la teoria della tassa singola sulla proprietà del suolo, ideata da Henry George. Secondo l’economista, la proprietà terriera è causa di problemi e ingiustizie. Magie vuole trasmettere questo concetto attraverso un gioco: i partecipanti diventano proprietari terrieri che esigono affitti iniqui arrivando a far fallire gli altri. Elemento assai originale, che lo distingue da millenni di giochi di percorso con una partenza e un traguardo, la fila di caselle del suo The Landlord’s Game è chiusa ad anello e occorre compiervi cinque giri. Ogni spazio è la strada di una cittadina e negli angoli spiccano le quattro caselle Madre Terra, prigione, ospizio dei poveri, vai in prigione. Magie (1902) descrive il suo gioco su “The Single Tax Review”.
Già pratica di brevetti, il 23 marzo 1903 ne chiede uno e lo ottiene il 5 gennaio successivo. Il suo scopo non è vendere il gioco, bensì fare propaganda: lascia quindi che amici e conoscenti se ne creino copie e le facciano girare, come nel moderno copyleft in cui l’autore lascia libertà di riprodurre e modificare le proprie opere purché restino gratuite. The Landlord’s Game si diffonde, passando da una famiglia all’altra. Ciascuno ritocca qualche regola a proprio gusto e spesso sostituisce i nomi delle strade con quelli della propria città.
Il gioco arriva anche ad Arden, una comunità cresciuta attorno agli ideali di Henry George con lotti di terreno affittabili per novantanove anni attorno a uno spazio comune. Vi convergono liberi pensatori e socialisti utopici. L’ultimo appezzamento affacciato sulla zona comune lo prende Scott Nearing, che insegna Economia all’Università della Pennsylvania e decide di usare il gioco in classe, ribattezzandolo The Anti-Landlord’s Game. I suoi studenti lo chiamano Business e Monopoly, lo apprezzano molto e alcuni di loro, divenuti professori, lo usano a loro volta in altre università statunitensi.
Nel 1906 Magie fonda con altri due single taxers la Economic Game Company di New York e mette in commercio il gioco, con qualche evoluzione nelle regole. Tre anni dopo riesce a vendere alla Parker un party game per 6-20 giocatori, Mock Trial: a quel punto propone all’editore anche The Landlord’s Game, ma George Parker lo rifiuta perché troppo complesso e lei non vuole “renderlo sciocco” semplificandolo come lui chiede.
Nel 1924 Magie incorpora varie innovazioni in un secondo brevetto: è soprattutto questo che impedisce alla Parker di brevettare il Monopoly nel 1935. Quando George Parker vede che la titolare è Magie, salta su un treno e va di persona a casa sua. Le compra tutti i diritti sul brevetto per 500 dollari: davvero nulla rispetto ai milioni che finiranno nelle tasche di Darrow, 7.000 dollari già con il solo primo rendiconto. Su richiesta di Magie, Parker si impegna anche a pubblicare The Landlord’s Game in versione originale, cosa che farà in piccola tiratura. Poi l’avvocato Robert Barton, presidente della Parker, si dà da fare per acquistare anche i diritti di Finance, un’altra variante del gioco di Magie pubblicata negli anni Venti da un impiegato di Indianapolis (Orbanes, 2007, pp. 45-6), nonché tutti gli esemplari d’epoca dei due giochi che riesce a trovare. E fa sparire ogni cosa, occultando così le prove su chi abbia davvero inventato Monopoly.
Tratto da “Un secolo di giochi” (Carocci editore), di Andrea Angiolino, 14€, pp. 144
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