Come un viaggio tra le piantagioni cambia la prospettiva sul caffè

Materia prima, rispetto dei cicli naturali, impegno concreto in termini di sostenibilità ambientale e sociale. Sono tematiche che hanno saputo creare un legame speciale. Da una parte Nespresso, che grazie al Programma globale AAA Sustainable Quality™ garantisce una produzione sostenibile di caffè supportando le comunità, e dall’altra Alessandro Dal Degan, chef de La Tana Gourmet e l’Osteria della Tana, la cui cucina si fonda sul rispetto per le materie prime, cura per l’ambiente e ricerca dell’eccellenza. Da qui nasce il loro incontro, con alla base un dialogo armonioso con i territori, le persone e la natura.
Da “chilometro zero” a “chilometro buono”
Tra i tratti distintivi della cucina di chef Dal Degan c’è sicuramente l’impiego di ingredienti autoctoni, raccolti direttamente nei boschi o acquistati da piccoli produttori locali, mentre nella scelta di un ingrediente che viene da lontano si inserisce un concetto che lo chef chiama di “chilometro buono”, utilizzando come criterio di scelta le filiere sostenibili, rispettose dell’ambiente, dei territori e delle comunità locali.
«Il viaggio ha trasformato un’idea in esperienza palpabile – racconta Dal Degan, parlando della sua esperienza nelle piantagioni di caffè indonesiane – ed ha ulteriormente arricchito il valore che ha per me questo concetto. Ha smesso di essere una misura geografica per diventare la somma di gesti, competenze e relazioni che stanno tra la pianta e la tazzina di caffè. Vedere e conoscere i coltivatori e le coltivatrici con cui Nespresso collabora e viverli nel quotidiano mi ha mostrato che la qualità nasce dalla cura e dalla passione, dal trasferimento di competenze e dalla responsabilità condivisa. Per questo viaggio ho scelto di non “studiare” in anticipo il processo di lavorazione del caffè: volevo assorbire direttamente sul posto tutte le informazioni, per poi approfondirle al mio rientro. Ho visto coltivatrici e coltivatori che raccolgono manualmente ogni singolo frutto della pianta, per una attenta selezione dei chicchi, frutto di un costante lavoro sul campo e della sapiente esperienza di chi ogni giorno si prende cura delle piante di caffè. Mi hanno mostrato come si scelgono le piantine esaminandone la radice, come anche le piante vecchie trasformate in compost hanno un ruolo fondamentale e come anche queste decisioni apparentemente minime cambino radicalmente il profilo sensoriale di un caffè da quello raccolto a poche centinaia di metri di distanza». Una sobrietà artigiana, che aggiunge valore allo stretto rapporto di collaborazione di Nespresso con le comunità locali.


Coltivare la qualità, con cura e passione
Durante il suo viaggio, Dal Degan ha visitato i produttori locali, assaggiando caffè in filtro nel corso delle visite e osservando direttamente le pratiche agronomiche. «Ho visto pratiche tangibili: le piante vecchie vengono tagliate e trasformate in compost per arricchire il terreno; si scelgono metodi di coltivazione naturali; si piantano “alberi da ombra” che favoriscono la biodiversità. Queste operazioni creano un circolo virtuoso che rende il suolo capace di “esprimersi”, al punto che due piantagioni distanti tra loro di pochi chilometri, o a poche centinaia di metri di altitudine, possono dar vita a caffè completamente diversi anche grazie alle differenze nel trattamento del suolo» prosegue Dal Degan. «Mi sono trovato di fronte a una relazione quotidiana di fiducia e scambio reciproco, un dialogo quasi rituale tra agronomo e coltivatore, parte di uno scambio di conoscenze e finalizzato alla lettura delle radici, la scelta delle piantine migliori e un affiancamento costante per semplificare la conversione verso pratiche rigenerative. Quanto ho visto mi ha ricordato che la sostenibilità è prima di tutto costruzione di capitale umano sul territorio».
Un aspetto importante di questo processo riguarda il ruolo delle donne. «Ho incontrato donne agronome e donne che guidano le piantagioni e prendono decisioni cruciali sul trattamento dei terreni e sulle tecniche colturali» prosegue Dal Degan. «In diversi casi erano loro a definire il ritmo del lavoro e a trasmettere le competenze alle nuove generazioni. Vedere questa leadership femminile mi ha fatto capire che la diversità non è solo una questione etica: è un motore di qualità».

Dalla piantagione alla tavola
«In una delle piantagioni che abbiamo visitato ci hanno mostrato due piantine praticamente identiche: la differenza era nelle radici, un dettaglio microscopico che per un occhio non allenato sarebbe invisibile, ma che determina tutta la vita futura della pianta». Una realtà che si connette idealmente al mondo della cucina. «In quell’istante ho ripensato alla cucina: a volte una variazione impercettibile, una tostatura diversa, un’ombra di amaro in più, cambia radicalmente il profilo sensoriale del caffè in un piatto», continua Dal Degan, che ha dato vita ad un menu concepito come un vero e proprio viaggio in cui sei diverse miscele di caffè Nespresso Professional sono protagoniste di sei piatti abbinati a sei bevande, “piatti liquidi”, essi stessi il prolungamento del piatto.
Utilizzo del caffè che, dopo questo viaggio, ha assunto ancor più valore, per uno sviluppo futuro: «La visita non ha ribaltato la tecnica utilizzata per quel menu, l’ha riempita di significato. Ho trovato una perfetta linearità tra ciò che avevo immaginato e ciò che ho assaggiato: questa conferma mi ha dato una maggiore libertà creativa, eliminando un certo grado di “casualità” nella sperimentazione, consentendomi di essere più chirurgico nella scelta della micro-origine. D’ora in poi la scelta del profilo aromatico del caffè che sceglierò per i miei piatti sarà accompagnato da una scelta narrativa: microzona, altitudine, se la pianta è stata coltivata in ombra o in pieno sole e il tipo di lavorazione a cui è stata sottoposta, perché questi dettagli determinano se userò quel caffè per dare profondità a un fondo, per creare contrappunto amaro in un dolce o per legare elementi marini e affumicati».
Assieme alla tecnica, però, il ricordo più emozionante resta quello del rapporto umano. «Il saluto finale con le famiglie resta il ricordo più vivido: non ci hanno ringraziato solo per acquistare il loro caffè, ma per essere andati fino a loro, per aver visto, ascoltato e riconosciuto il valore del loro lavoro. In quell’abbraccio ho sentito che il caffè non è solo un prodotto: è identità, dignità e legame. Ogni volta che scelgo un chicco per un piatto mi torna in mente quell’immagine: mani accoglienti, il tramonto sulle piantagioni e il profumo del caffè nell’aria, la prova che dietro ogni chicco c’è una vita condivisa», conclude lo chef.

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