Cop30 e opinione pubblica: fiducia limitata, ma aspettative elevate

Novembre 5, 2025 - 07:00
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Cop30 e opinione pubblica: fiducia limitata, ma aspettative elevate

Un nuovo sondaggio globale di Ipsos fotografa percezioni e aspettative dei cittadini verso la Cop30 di Belém. Il quadro evidenzia sostegno diffuso a politiche climatiche più vincolanti, ma anche scetticismo sulla capacità dei negoziati multilaterali di produrre risultati concreti

Il dibattito sul futuro della governance climatica internazionale si arricchisce di un tassello di particolare rilevanza: l’indagine Attitudes to Cop30 realizzata da Ipsos, condotta su un campione di 23.700 persone in 30 Paesi tra giugno e luglio 2025.

I risultati, diffusi a poche settimane dall’apertura dei lavori di Belém, delineano un quadro complesso: tra fiducia condizionata, domanda di strumenti regolatori più incisivi e un’insistenza sempre più evidente su responsabilità politiche e industriali.

Cop30 tra simbolo e azione: la fiducia resta minoritaria

Quasi metà del campione globale (49%) ritiene che Cop30 sarà un evento prevalentemente simbolico, incapace di generare cambiamenti reali nella lotta al cambiamento climatico. Solo il 34% prevede risultati concreti.

Lo scetticismo è più pronunciato nelle economie avanzate, dove appena il 25% degli intervistati europei e il 24% dei nordamericani confidano in un esito sostanziale. Al contrario, in Africa, Medio Oriente e Asia-Pacifico si registra un maggiore ottimismo, indice di aspettative più elevate verso i processi multilaterali.

Il fattore generazionale introduce un ulteriore livello di complessità: se gli over 55 appaiono più disillusi, con circa il 60% che considera Cop30 un mero rito diplomatico, tra la GenZ tale quota scende al 37%, mentre il 45% degli under 25 ritiene che l’evento porterà risultati tangibili. Questa asimmetria segnala una maggiore fiducia nelle istituzioni internazionali tra i segmenti più giovani, tradizionalmente più sensibili ai temi climatici.

Se la fiducia appare fragile, l’agenda desiderata dai cittadini emerge con maggiore nitidezza. Per il 39% degli intervistati il successo della Cop passa per tre direttrici: protezione degli ecosistemi, riforestazione e trasformazione economica in chiave sostenibile. Solo l’11% ritiene che fermare la deforestazione sia sufficiente e appena il 4% difende la narrativa secondo cui la perdita di foreste sarebbe un prezzo inevitabile per lo sviluppo.

Una parte rilevante dell’opinione pubblica (26%) chiede anche meccanismi di compensazione per i danni climatici già prodotti, con picchi oltre il 40% in America Latina e Sud-est asiatico.

In quest’ottica, Belém assume un valore simbolico e operativo: una sede collocata nel cuore dell’Amazzonia che amplifica l’urgenza di soluzioni congiunte contro deforestazione e degrado degli ecosistemi.

Corporate responsibility e giustizia climatica: una domanda crescente

Il tema delle responsabilità economiche per la transizione emerge con forza. Il 69% degli intervistati è convinto che le imprese privilegino il profitto rispetto alla tutela ambientale e il 65% sostiene l’obbligo per le aziende di destinare una parte degli utili ad azioni climatiche. Tale orientamento supera i confini geografici e generazionali, con livelli di consenso superiori al 60% tra Gen X, Millennials e Gen Z.

Sul fronte della giustizia climatica internazionale, il 55% degli intervistati appoggia l’idea che i Paesi più colpiti dagli eventi climatici debbano ricevere riparazioni economiche, con maggiori consensi nel Sud globale e in alcuni Paesi europei non G7, tra cui l’Italia.

Parallelamente, il 54% ritiene che gli individui con grandi patrimoni debbano sostenere la quota principale dei costi della transizione, un dato che testimonia la crescente centralità delle questioni redistributive nel dibattito climatico.

Più che limiti tecnologici, la vera barriera alla decarbonizzazione è di natura politica e amministrativa. Secondo il campione globale, la principale criticità è la mancanza di volontà politica (42%), seguita dall’insufficienza dei controlli su deforestazione e inquinamento (34%) e dalla scarsità di risorse finanziarie (31%).

Questa percezione pone l’accento sulla necessità di rafforzare la governance delle politiche climatiche, con particolare riferimento a trasparenza, accountability e strumenti di controllo.

La scelta di Belém, nel cuore della foresta amazzonica, conferisce al vertice una dimensione strategica. Il 59% degli intervistati ritiene fondata la proposta del Brasile di riconoscere incentivi finanziari ai Paesi che preservano le foreste, penalizzando invece le pratiche di deforestazione. L’idea di un Consiglio Climatico Globale, anch’essa sostenuta dal Brasile, riceve consenso analogo, in particolare nei mercati emergenti.

Per l’Italia, i dati confermano una sensibilità elevata verso giustizia climatica e transizione regolata, con consenso significativo verso misure come contributi obbligatori delle imprese e responsabilità finanziaria dei grandi patrimoni.

Queste evidenze suggeriscono un terreno favorevole per rafforzare l’allineamento con le strategie europee di decarbonizzazione, valorizzando al contempo il ruolo nazionale nell’economia circolare, nell’efficienza energetica e nella bioeconomia.

L’appuntamento di Belém arriva in un momento in cui l’urgenza climatica non coincide ancora con una fiducia piena nel multilateralismo. La richiesta sociale è chiara: maggiore responsabilità politica, impegni economici vincolanti e una transizione equa capace di tutelare popolazioni ed ecosistemi.

La credibilità dei processi decisionali internazionali dipenderà, più che dal tono delle dichiarazioni, dalla capacità di tradurre questa domanda in atti concreti.

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