Danno e beffa del Pd, a lezione di politica da Conte e Bonelli

C’è una sottile ironia della storia, oltre che un giusto sadismo della politica, nel contrappasso toccato in queste ore a Elly Schlein. Dopo avere sacrificato qualunque velleità politico-programmatica del suo partito in nome dell’unità della coalizione, dopo avere messo in gioco persino l’identità e la collocazione internazionale del Pd, per schiacciarlo pedissequamente sulla linea degli alleati del Movimento 5 stelle e di Alleanza Verdi-Sinistra, la segretaria si sente dire adesso proprio da loro, immeritevoli beneficiari di tanta generosità, che l’unità non è sufficiente, che l’unità non è una politica, che l’unità è un mezzo ma non può mica essere un fine, e che insomma, dispiace dirlo, ma qui servono un progetto e un messaggio capaci di parlare al paese.
Il gusto della polemica non mi spingerà fino a dirmi solidale con Schlein, perché l’unica cosa che penso dentro di me è che le sta benissimo, ma devo anche aggiungere, per amore di verità, che non è certo l’unica a meritarsi il danno della sconfitta e la beffa delle lezioncine da parte di chi dovrebbe solo ringraziare il Partito democratico per tanta insensata munificenza. D’altra parte, ho già fatto tante volte l’elenco dei responsabili di questa linea suicida, cioè tutti i segretari e relativi gruppi dirigenti dal 2019 in avanti, con menzione speciale per Enrico Letta, che oltre a incaponirsi su quella strada alla fine non è nemmeno riuscito a concludere l’alleanza, finendo per rompere sia con i populisti sia con i centristi, per la gioia di Meloni. Senza dimenticare tutti i giornalisti e gli opinionisti di area progressista, e non solo, che da dieci anni ci spiegano che questa è l’unica strada possibile. Chissà quante altre sconfitte dovrà rimediare Schlein perché qualcuno di loro si alzi e dica una buona volta del campo largo quello che Fantozzi ebbe il coraggio di dire della Corazzata Potemkin.
Un’ultima cosa. So benissimo, naturalmente, che nelle Marche e in Calabria il centrosinistra non ha perso per questo, e che questo non gli impedirà di vincere in Puglia, ma il fatto che tre candidati alla guida delle regioni su sei – dico tre su sei – fossero stati eletti appena un anno fa al Parlamento europeo, obiettivamente, non contribuisce a dare la migliore immagine della coalizione, ancorché, forse, ne restituisce l’immagine più veritiera. Almeno gli sconfitti risparmiassero adesso ai loro bistrattati elettori il ridicolo florilegio di dichiarazioni sulle profonde riflessioni in cui sarebbero immersi, costretti all’ardua scelta tra restarsene ad Ancona o a Reggio Calabria, come semplici consiglieri di opposizione, o tornarsene di corsa a Strasburgo.
E poi, quasi dimenticavo, l’ultimissima: il caso dell’illustre filosofa Donatella Di Cesare, capolista in Calabria, arrivata penultima in lista, nonostante la forte esposizione televisiva e le molte polemiche suscitate dalla sua candidatura, sia per le sue discutibili affermazioni sul terrorismo degli anni Settanta (in particolare per un tweet su Barbara Balzerani) sia per le sue ancora più discutibili posizioni sulla guerra in Ucraina. Piccolo esempio di quella che sembra ormai la vera specialità di questo centrosinistra, e cioè la rara capacità di accettare qualunque compromesso sui principi per ottenerne in cambio la sconfitta alle elezioni, la disfatta nei referendum, il tracollo nei sondaggi, la perdita di posti e influenza in ogni possibile sede decisionale (a cominciare dal Parlamento europeo, ovviamente, visti i comportamenti di cui sopra). Perdere tutto, insomma, compreso l’onore.
Questo è un estratto di “La Linea” la newsletter de Linkiesta curata da Francesco Cundari per orientarsi nel gran guazzabuglio della politica e della vita, tutte le mattine – dal lunedì al venerdì – alle sette. Più o meno. Qui per iscriversi.
L'articolo Danno e beffa del Pd, a lezione di politica da Conte e Bonelli proviene da Linkiesta.it.
Qual è la tua reazione?






