Famiglia nel bosco, un’occasione sprecata di riflessione
Poteva essere un’occasione per riflettere sulla libertà educativa e i confini dello Stato, sulle nuove sensibilità della società su questi temi etici o addirittura sulla qualità del servizio che la magistratura deve garantire. E invece, della vicenda della famiglia di Palmoli, in Abruzzo, oggi resta un chiacchiericcio di pancia, senza alcuna evoluzione del sentimento civico.
A offrire questa visione è la dottoressa Maria Martello, già giudice onorario del Tribunale per i minorenni e poi della Corte d’Appello di Milano, esperta di mediazione dei conflitti. Sulla vicenda, ribattezzata dai media come la “famiglia nel bosco”, a cui il Tribunale per i minorenni dell’Aquila ha deciso di sospendere la responsabilità genitoriale, l’ex giudice non entra nel merito per principio, rimandando casomai gli interessati alla rilettura dei documenti processuali disponibili. Il nodo su cui invece insiste è sul modo in cui la storia sia stata distorta nel dibattito pubblico: «Le decisioni dei giudici possono essere criticate, ma si è assistito a un accanimento mediatico che ha trasformato un provvedimento ancora in corso d’esame, e peraltro temporaneo, in un caso nazionale deformato. Questo episodio non si spiega diversamente, se non con una precisa volontà di screditare i magistrati».
Martello non ha dubbi che la vicenda sia stata utilizzata per trasformare la magistratura in un bersaglio su cui costruire consenso, anche in vista della prossima campagna elettorale, che in primavera vedrà i cittadini chiamati a decidere sul referendum costituzionale sulla riforma della giustizia. La stessa Associazione nazionale dei magistrati ha pubblicato lo scorso 22 novembre un comunicato che invita al rispetto della giurisdizione, in una vicenda che coinvolge «valori tra i più delicati: il diritto della famiglia a determinare le proprie scelte di vita e, al tempo stesso, il dovere di tutela dei minori previsto dalla nostra Costituzione», e stigmatizza le «strumentalizzazioni di certa politica su ciò che sta succedendo».
Per l’ex giudice, uno spazio per un confronto serio esisteva. Che rapporto dovrebbe esistere tra libertà genitoriale e controllo dello Stato? Come si dovrebbe bilanciare il diritto all’istruzione e alla salute con la discrezionalità educativa familiare? «Abbiamo perso un’occasione, a partire da questa vicenda, per conquistare un dibattito colto, e riflettere su cosa oggi significa il rapporto tra lo Stato e la libertà individuale. Se io appartengo a uno Stato non posso poi pretendere la totale libertà: ci deve sempre essere il giusto equilibrio tra la libertà individuale e l’intervento dello Stato».
Senza dimenticare il tema della mediazione dei conflitti, uno strumento ch,e secondo Martello, forse avrebbe potuto evitare anche l’esito attuale. «Se ci fosse stata una cultura generalizzata di questo istituto giuridico, e fosse stata applicata dai vari attori, forse non sarebbe stato neanche necessario arrivare a un provvedimento come quello attuale. Forse si sarebbe trovato un reciproco riconoscimento delle ragioni e un progetto che tenesse conto dei bisogni di tutti, della famiglia, dei giudici e del loro dovere di vigilare sulla qualità di vita dei minori, degli assistenti sociali e degli educatori che sono votati a sostenere chi si trova in difficoltà. Il Tribunale non si chiama infatti “dei” minorenni, ma “per” i minorenni».
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