La fotografia che illumina i margini e abita la strada
«Anche nel buio può nascere il desiderio e la possibilità di una luce». Sono queste le parole che accolgono il visitatore alla mostra fotografica “Luci nel Buio”.
Realizzata dal fotografo documentarista Marco Garofalo per Fondazione Progetto Arca, è allestita a Milano – nella sede di Citi in piazzetta Bossi 3 – fino al 25 febbraio 2026, con ingresso libero, per offrire uno sguardo diverso sui luoghi della povertà.
Una doppia mostra
Se al piano terra si possono ammirare le 24 fotografie realizzate dall’artista e frutto di un anno di ricerca e osservazione nelle periferie di Milano e Roma, accompagnato dai volontari di Progetto Arca, al piano superiore sono accolti gli scatti della fotografa di strada Sofia Loffredo.

A spiegare l’originalità delle immagini di Sofia, in occasione dell’inaugurazione, è lo stesso Garofalo: «L’occhio di Sofia cerca i dettagli che sfuggono a chi ha fretta, a chi guarda dall’alto. È un punto di vista basso, letteralmente e simbolicamente, ma pieno di grazia e umanità. Ciò che io, come fotografo professionista, invidio a Sofia è proprio questo: la sua libertà assoluta. Il suo lavoro non risponde a un progetto, ma a un’urgenza: quella di esistere, di farsi vedere attraverso ciò che vede. E in questa libertà, fragile e potente, la sua fotografia diventa una lezione di sguardo e di vita».
Fotografare è un lavoro di memoria
Per Sofia fotografare è «poter avere dei ricordi indelebili. Con il tempo il volto delle persone rischi di dimenticarlo. La foto ti impedisce di dimenticare è un ricordo vivo sempre», dice la donna che aggiunge: «sul cellulare ho tantissime foto: una farfalla, una foglia con una goccia d’acqua che se la ingrandisce vedi il riflesso». Per lei che vive tra il centro di Milano e corso XXII Marzo fotografare è «un lavoro di memoria».

Una particolarità delle fotografie di Sofia è che sono “basse”, sono a livello della strada ci sono tanti piedi, pezzi di asfalto, una fiore cresciuto in una crepa del marciapiede, ma la donna alza spesso lo guardo e in una delle sue fotografie c’è un tramonto e la Madonnina «è un’acrobata. Lo vedi quel filo che taglia l’immagine?», dice indicando una delle sue fotografie in mostra. «Sembra che la Madonnina ci cammini sopra… vedi le persone quando camminano guardano in basso, ma per guardare il telefono e se alzano lo sguardo non puntano al cielo, ma alle vetrine».

In occasione dell’inaugurazione nella sede di Citi erano presenti il presidente della Fondazione Progetto Arca, Alberto Sinigallia, l’assessore al Welfare del Comune di Milano, Lamberto Bertolè, Matteo Perfetti, Italy Citi Country Officer, Paola Biscaldi, Citi Italy Head of Communications and Public Affairs e Franz.
Accendere un faro sulla marginalità
«Quando parliamo di persone senza dimora spesso parliamo di numeri e perdiamo di vista l’umanità. Raccontare attraverso le immagini le storie di chi vive in strada o affronta un momento di difficoltà», ha osservato Bertolè «aiuta ad accendere un faro sulle situazioni di vulnerabilità che spesso si concentrano nei grandi centri urbani e che ogni giorno, grazie al sistema cittadino di contrasto alla grave marginalità, incontriamo e supportiamo». L’assessore ha infine ricordato che l’80% delle circa 800 persone che vengono accolte con il piano freddo sono «appena arrivate a Milano, la loro è una marginalità indotta per la mancanza di un adeguato sistema di accoglienza».

Sinigallia, ha definito la mostra «un percorso di emozioni intense quello che ci permette di esplorare Garofalo attraverso queste fotografie, che culminano in un messaggio finale dedicato alla casa, qualunque essa sia, come luogo di protezione, sicurezza, ricostruzione». Ha infine ricordato come il puntare alla luce sia lo sforzo che fanno tutti i volontari che incontrano chi vive in strada per rispondere ai bisogni primari.
Il senzatetto polacco tra libri e parole ricercate
«Con questo reportage ho cercato anche io di gettare una luce su un buio: la scarsa conoscenza del disagio abitativo. Vivo a Milano e conosco Roma, ma esplorarle nelle loro profondità più nascoste mi ha permesso di incontrare nuove persone e, allo stesso tempo, conoscere meglio me stesso», ha detto Garofalo.
«A cinquant’anni, sotto un acquedotto romano vecchio di duemila anni, ho incontrato un senzatetto polacco che mi ha insegnato il significato della parola inopia. A Milano, invece, ho incontrato Daniele, che mi ha spiegato la differenza tra un senzatetto e un barbone. Ogni fotografia non è solo una storia: è uno specchio che ti chiede cosa sei disposto a vedere davvero».
Lo sguardo libero di Sofia
A Milano incontra anche Sofia «che è travolgente, mi ha vedere le sue fotografie, mi chiede consigli. E io chiedo ad Arca di fornirle una macchina fotografica». E conclude: «È la mia allieva preferita con la sua autonomia di sguardo che è completamente libero».

L’ultimo a prendere la parola è proprio Franz, attore comico e amico di Progetto Arca. Franz ha conosciuto Sofia qualche anno fa una sera d’inverno sotto i portici di piazza Duomo a Milano, e da subito ne ha riconosciuto la sensibilità e la grazia.
«Ogni foto è un momento di vita, un attimo colto in un moto continuo, fissato e immortalato in un movimento costante. Perché questa è la vita di Sofia: situazioni uniche, personali e irripetibili, fatte di incontri, persone, storie, luoghi, momenti, atmosfere. Guardare ciò che lei ha immortalato significa fermarsi a osservare quello che Sofia ha fatto entrare nella sua vita, prima ancora che nello scatto. Non si tratta di momenti di vita, ma della “sua vita”, che in alcuni istanti viene fissata in frammenti, in dettagli di visi, in squarci di panorami».
Un modo di guardare la vita da un altro punto di vista.
In apertura una delle immagini di Marco Garofalo scattate a Roma e presenti nella mostra Luci nel Buio – nell’articolo foto di Daniele Lazzaretto
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