Il Cilento si racconta tra cucina, agricoltura e ospitalità

C’è un momento, arrivando in Cilento, in cui il paesaggio cambia ritmo. Le colline si ammorbidiscono, i borghi si fanno silenziosi, il mare alterna trasparenze turchesi e profondità blu. È una terra che unisce coste incontaminate e aree interne selvagge, dove la macchia mediterranea profuma di rosmarino e lentisco, e i sentieri conducono tanto alle spiagge quanto alle rovine di un passato millenario. Qui, tra il Parco Nazionale e Palinuro, la natura convive con una storia che affonda nelle radici della Magna Grecia: i templi di Paestum, patrimonio Unesco, ne sono l’emblema, con le loro colonne doriche intatte da oltre duemila anni.
Non è solo un paesaggio, ma un ecosistema culturale e gastronomico unico. È qui, ad esempio, che il biologo americano Ancel Keys codificò la Dieta Mediterranea, osservando la longevità e le abitudini alimentari degli abitanti. È qui, ancora, che vigne, oliveti e allevamenti bufalini disegnano un mosaico agricolo che oggi è parte integrante dell’esperienza di viaggio. In Cilento, l’ospitalità non si limita a offrire un luogo dove dormire: diventa racconto di un territorio, intreccio di natura, cultura e cucina. E il bello è proprio questo; trovare un fondale scenografico che si integra in un ecosistema culturale e gastronomico unico, dove l’eredità antica incontra una quotidianità fatta di agricoltura, artigianato e ospitalità.
Un’ospitalità che diventa lente di ingrandimento sul territorio, soprattutto per alcune realtà che hanno deciso di investire su questi luoghi, prendendone come ispirazione altri, ma focalizzandosi sulle peculiarità identitarie di questo lembo di di costa. Tra questi il progetto della famiglia Pagano ne è un esempio perfetto e non solo per la bellezza delle strutture ricettive che è stata in grado di costruire negli anni, ma per una visione imprenditoriale in grado di trasformare il turismo in un motore economico per il territorio. Savoy Hotel & Spa, Beach Club 93, Holos Spa, Tre Olivi, l’Esplanade Boutique hotel e l’azienda agricola San Salvatore 1988: realtà diverse, ma unite negli stessi obiettivi nel creare non solo un’offerta di lusso, ma una filiera integrata che va dall’agricoltura alla ristorazione di alta fascia, dalla ricettività balneare al benessere. Ed è un modello che funziona perché tiene insieme autenticità e un alto posizionamento in termini di mercato.
Il Cilento, spesso escluso dai circuiti del turismo internazionale di lusso, cerca di trovare in questo modo nuovo ruolo: non come alternativa alla Costiera Amalfitana, ma come destinazione autonoma, capace di attrarre chi cerca un’Italia meno ovvia, ma ugualmente straordinaria. E in questo momento storico in cui si parla tanto di overtourism e di gestione dei flussi turistici, dar vita a un indotto nuovo, diverso diventa cruciale non solo per il privato che investe, ma anche e soprattutto per l’economia di un luogo, in grado così di crescere e svilupparsi con coerenza e responsabilità. Passeggiate tra i templi al tramonto, uscite in barca con pranzo a bordo, lezioni di yoga in giardino, wine tour in vigna, corsi di pasta fresca con le “massaie” cilentane; è turismo esperienziale nella sua forma più curata, dove ogni attività è legata a doppio filo alla storia e alla geografia del luogo.
Tanti gli investimenti anche recenti, che hanno riguardato in particolar modo il Savoy, hotel di 44 camere, che intreccia eleganza contemporanea e identità mediterranea. L’ultima ristrutturazione, firmata dall’interior designer milanese Giampiero Panepinto, ha ridisegnato le camere del piano superiore con terrazze aperte sul paesaggio e il mare, creando spazi ampi e luminosi che parlano di comfort ma anche di luogo. La hall, scandita da colonne ioniche e tinte che giocano tra bianco e giallo zafferano, accoglie come un atrio mediterraneo dal respiro internazionale. Un filo, che si sente e si percepisce, che unisce l’ambiente interno con la storia millenaria che circonda il luogo. C’è anche una leggenda, che parla di Afrodite e della benedizione alle coppie che scelgono di sposarsi qui: che ci si creda o no, è una tradizione che continua anche oggi, che tenersi buoni gli dei è sempre una buona idea, oltre che estremamente romantico.
All’interno della struttura, il ristorante Tre Olivi, aperto anche agli esterni, dove la cucina diventa dichiarazione identitaria, nonostante il nuovo chef, Oliver Glowig, sia tedesco di nascita ma italiano di adozione. Glowing riesce a portare in tavola un’idea di Mediterraneo che dialoga con la storia e la biodiversità del Cilento. Legno d’ulivo per gli arredi, olio e vino della tenuta di famiglia, una cucina a vista con le piante aromatiche dell’orto: il Sud si sente in ogni in piatto, è come una vacanza al mare dentro la vacanza. Il crostino con le acciughe e il burro avvolge in un abbraccio morbido, il crudo di verdure e frutta scalda come una giornata di sole in estate, i bottoni ripieni di salsiccia con gamberi crudi ed essenza di cipolle sono un canto che descrivono queste terre, le eliche con cacio e pepe e ricci accompagnano in una gita in barca, di quelle che durano sino al tramonto.
A pochi passi dall’hotel, anche il Beach Club 93, una sorta di salotto balneare privato: lettini in legno, gazebo con vista mare, piscina di acqua salata con idromassaggio, ristorante e pizzeria che attingono agli ingredienti prodotti in casa, in primis quelle della tenuta San Salvatore 1988, la tenuta agricola che è al tempo stesso azienda, laboratorio e manifesto identitario della famiglia Pagano. Perché dietro l’eleganza degli arredi del Savoy e la raffinatezza dei piatti di Tre Olivi, c’è una terra che lavora in silenzio. Fondata da Giuseppe Pagano e intitolata al padre Salvatore, la tenuta è un mosaico di vigneti, pascoli e uliveti incastonati nel Parco Nazionale del Cilento, in un paesaggio che alterna montagne, macchia mediterranea e scorci di mare. Oggi, insieme alla terza generazione, l’azienda è diventata un modello di agricoltura integrata e sostenibile, capace di fornire gran parte degli ingredienti che poi si ritrovano nei ristoranti del gruppo.
I vigneti si estendono in due aree distinte e complementari: a Cannito, ai piedi del Monte Calpazio, dove il sole del Sud e la brezza marina regalano ai bianchi, soprattutto da uve Fiano, un profilo aromatico intenso e salino; e a Stio, a seicento metri d’altitudine, dove le escursioni termiche plasmano rossi da Aglianico di grande struttura e complessità. La cantina lavora con un approccio a basso impatto ambientale, dalla coltivazione biologica alla vinificazione attenta, e sperimenta anche con la spumantizzazione metodo classico di uve Aglianico, in un’interpretazione inedita di un vitigno simbolo della Campania.
Ma San Salvatore 1988 non è solo vino. L’azienda ospita oltre 750 bufale, allevate allo stato semi-brado, che pascolano tra prati e uliveti, alimentandosi con foraggi locali. Dal loro latte nasce una mozzarella di bufala campana Dop che è diventata, insieme ai vini, uno dei biglietti: morbida e succosa, da gustare in semplicità e in tutta la sua purezza. La lavorazione è quotidiana e rispettosa della tradizione: mungitura al mattino, cagliata lenta, filatura a mano, formatura e immediata immersione in salamoia. Il consiglio è quella di gustarla appena pronta, perché riesce a mantenere tutto il sapore di questo territorio. Qui ti avvertono di assaggiarla senza neppure l’aggiunta di un goccio d’olio, ma noi l’abbiamo provata anche abbinata alla bottarga di muggine e vi assicuriamo che l’abbinamento convince.
Vigna, bufale e tutto il buono dei campi. C’è olio extravergine d’oliva, ci sono le conserve, la pasta artigianale e latticini freschi, tutti reperibili a La Dispensa, lo spazio vendita all’interno della tenuta: se potete, fate rifornimento a vita dei loro Cremosi, a metà via tra yogurt e creme, che cucchiaiata dopo cucchiaiata creano dipendenza. Qui è possibile fermarsi per un pranzo rustico, partecipare a degustazioni guidate di vino e formaggi, o seguire corsi di cucina con le massaie locali, custodi di ricette e gesti antichi: esperienze che ai turisti, soprattutto stranieri, piacciono tantissimo e in qualche modo contribuiscono a creare il mito dell’Italia meridionale, senza etichettarlo in stereotipi.
Di fatto San Salvatore 1988 è l’anello che chiude e rafforza il modello economico del gruppo Pagano: una filiera corta che va dalla produzione agricola all’ospitalità di lusso, permettendo di controllare qualità, costi e identità del prodotto. Una strategia che riduce la dipendenza dai fornitori esterni e che, al tempo stesso, diventa racconto: ogni calice e ogni boccone serviti al Savoy o al Tre Olivi sono il risultato di un territorio messo in scena nella sua interezza. E forse questa dovrebbe diventare la nuova frontiera del turismo in Italia, nella costruzione di un ponte in grado di collegare più punti di contatto, più attori, senza lasciarne nessuno indietro. Anche questo vuol dire valorizzare un territorio.
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