Il franceschinismo reale, il bettinismo percepito, e i passettini da granchio del Pd

Novembre 18, 2025 - 09:30
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Il franceschinismo reale, il bettinismo percepito, e i passettini da granchio del Pd

Probabilmente Elly Schlein ha letto il documento, ampiamente descritto su Linkiesta, intitolato “Decide to win”, elaborato da Welcome, che è un’organizzazione centrista del Partito democratico americano. Lì si dice, senza tante moine, che la gente oggi guarda all’economia e alla sicurezza, non all’aborto e agli eterni temi etici che la sinistra ama brandire quando non sa dove andare. E infatti il Partito democratico, nel raduno dei sindaci dem, finalmente ha capito che la sicurezza non è una parolaccia. Ci voleva Walter Veltroni, ci voleva Paolo Gentiloni, c’è voluto un bel po’ di tempo per arrivare a capire che nelle città la gente non può avere paura di tornare di sera, o che l’integrazione non si fa con le buone intenzioni.

È un passo avanti, nel senso del prendere atto che la sinistra deve avere una sua politica sulla sicurezza, con annessi e connessi (tra questi, la politica dell’integrazione degli immigrati). Bene anche, sull’altro fronte, che il campo largo abbia presentato emendamenti comuni sulla legge di bilancio. Altro passetto avanti.

Dopodiché, è tosta. Si potrebbe dire che il Pd è diviso in due: quelli che vedono i problemi e quelli che dicono che va tutto bene. I primi sono dei politici, i secondi dei propagandisti. E nessuno biasima la fatica del propagandista, che fa un pezzetto di politica anche lui, vendendo quello che ha e soprattutto quello che non ha. La sinistra è cresciuta anche così, con i dirigenti che nelle sezioni orientavano i compagni, pure imbellettando la realtà, stendendo veli sulle magagne, gonfiando i successi come palloncini colorati. E poi i comizi sempre uguali, e non solo in campagna elettorale ma più o meno sempre, come recitando una parte ogni sera da decenni. Memorizzando una retorica al punto tale che c’erano e ci sono tuttora dirigenti che finiscono per credere a quello che dicono.

L’impressione, non conoscendolo di persona, è che Igor Taruffi, il responsabile dell’organizzazione del Pd, emiliano – scherzosamente si definisce «un comunista di Porretta» – appartenga a quest’ultima specie: ci crede, è uno che parla con convinzione, e nella politica italiana la convinzione è merce rara. Ma la convinzione non è la realtà. Le cose magari vanno un filo meglio, ma non vanno bene, e non c’è niente di vergognoso nell’ammetterlo. Perché i fatti non stanno come dice lui. Igor Taruffi occulta i problemi politici reali – che poi sono uno: il governo sta lì fino alla fine della legislatura ed è favorito per una vittoria bis – e gioca con i numeri come un prestigiatore: Forcella più che Porretta.

Affermare che il partito è passato dal quattordici al ventiquattro per cento significa mescolare sondaggi e voti reali, sicché allo stesso modo (e forse più realisticamente) si può dire che si è passati dal diciannove delle ultime politiche al ventuno che i sondaggi gli assegnano oggi: due punticini testardi. Com’era una bubbola quella per cui i Sì al referendum sul “Jobs Act” superavano i voti della destra alle elezioni: sempre di mele e pere si tratta.

Ora siamo uniti, esultano i Nazarenici: come no, continuate a fidarvi del franceschinismo reale e del bettinismo percepito. E dov’è questa armonia nel campo largo? Guardate l’Ucraina. Il campo largo è diviso come la destra, solo che lì almeno c’è Guido Crosetto che risponde a Matteo Salvini e a Claudio Borghi; qui non ce n’è uno degli schleniani che la canti chiara a Giuseppe Conte.

Non è un caso se a chiedere di votare in Parlamento i nuovi aiuti a Kyjiv non siano i capi del partito ma i poveri riformisti dem, mal tollerati, ai quali Igor Taruffi rinfaccia la rottura di una gestione unitaria in realtà mai davvero esistita, come gli ha fatto notare Pina Picierno. Al dunque, il buon Igor, inconsapevole copia dei vecchi dirigenti brezneviani che ballavano sul Titanic prima del crollo, conclude con un «non scorgo elementi per affrontare criticamente il nostro lavoro» che illude i militanti che l’operazione è riuscita, senza dirgli che non è sicuro che il paziente ce la farà.

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Redazione Redazione Eventi e News