Il Pil pro capite italiano supera quello inglese, ma è colpa del calo demografico

Per la prima volta dal 2001 l’Italia supera il Regno Unito nel prodotto interno lordo pro capite, un indicatore che misura il livello medio di ricchezza dei cittadini. Secondo le stime della Banca mondiale, il Pil corretto per il costo della vita ha raggiunto nel nostro Paese quota 60.847 dollari, contro i 60.620 della Gran Bretagna. «Sebbene il Pil complessivo del Regno Unito resti più alto, la media individuale è ormai inferiore a quella italiana», osserva il Sole 24 Ore. Ma la spiegazione non va cercata tanto nella crescita economica, quella ancora latita, quanto nell’andamento demografico dei due Paesi: Londra deve distribuire la ricchezza prodotta su una popolazione in costante aumento, mentre in Italia il calo demografico innalza artificialmente il reddito medio.
Il sorpasso si inserisce in un contesto britannico tutt’altro che favorevole. La disoccupazione è risalita al 4,7 per cento, l’inflazione si avvicina al 4 per cento – il doppio del target fissato dalla Banca d’Inghilterra – e la spesa per i sussidi grava sempre di più sui conti pubblici. Il governo laburista guidato da Keir Starmer fatica ad avviare riforme strutturali, e i tentativi di ridimensionare le politiche assistenziali hanno incontrato resistenze che hanno costretto a più di una marcia indietro. Il National Institute of Economic and Social Research parla di “stagnazione” e mette in guardia: la perdita di dinamismo rischia di ridimensionare il ruolo di Londra tra i grandi Paesi avanzati, con le famiglie meno abbienti che oggi vivono condizioni peggiori rispetto a quelle di alcuni Stati dell’Est Europa.
L’Italia, al contrario, raccoglie un inedito riconoscimento internazionale. Il Daily Telegraph ha sottolineato come alcuni progressi derivino dalle riforme avviate dal governo Meloni – dal contenimento della spesa previdenziale alla semplificazione del sistema giudiziario – oltre che dal traino degli incentivi edilizi e dei fondi europei del Next Generation EU. La stabilità politica, considerata un’anomalia positiva nella storia recente italiana, viene a sua volta letta come un fattore di attrattiva. Un cambio di percezione che sorprende dopo decenni in cui l’Italia era dipinta come l’anello debole dell’economia europea.
Restano però nodi strutturali di grande peso. Il debito pubblico, pari al centotrenta per cento del Pil (contro il cento per cento britannico), rappresenta la principale zavorra, mentre la fine del superbonus lascia un’eredità fiscale complicata. Inoltre, i salari reali non hanno ancora recuperato i livelli pre-pandemia, a differenza di quanto avvenuto oltremanica.
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