Italia in ritardo sugli impegni per ridurre le emissioni di metano

L’Italia è tra i 160 Paesi – che insieme rappresentano il 45% delle emissioni di metano a livello globale – che hanno aderito al Global Methane Pledge, ovvero un accordo internazionale volontario che impegna i firmatari a ridurre, entro il 2030, il 30% le emissioni di metano rispetto ai livelli del 2020.
Un impegno importante considerando che mantenere tale obiettivo vorrebbe dire ridurre il riscaldamento globale di almeno 0,2 °C entro il 2050, prevenire ogni anno 26 milioni di tonnellate di perdite agricole, 255.000 morti premature, 775.000 ricoveri ospedalieri legati all’asma e 73 miliardi di ore di lavoro perse a causa del caldo estremo.
Eppure, l’Italia, nonostante le conseguenze del cambiamento climatico, sembra impegnarsi poco su questo tema. Infatti, non solo non vengono presi provvedimenti ad hoc in tema di emissioni legate ai rifiuti e al settore agricolo, ma anche nel settore energetico, il più facile da affrontare, il nostro Paese risulta indietro rispetto agli adempimenti che avrebbe dovuto portare avanti e prescritti dal Regolamento Europeo entrato in vigore poco più di un anno fa. Tanto è che la Commissione europea lo scorso 17 luglio ha inviato all’Italia una lettera di costituzione in mora, atto che rappresenta la prima fase della procedura di infrazione, proprio per la lentezza con cui il nostro Paese sta affrontando il problema.
Sono diverse le scadenze che il Governo italiano e gli operatori non hanno rispettato: la prima riguarda l’indicazione dell’Autorità Competente, organo che dovrebbe garantire l’applicazione del Regolamento e che doveva essere definito entro il 5 febbraio 2025. Il tema è stato affrontato, con oltre 4 mesi di ritardo, infatti, solo lo scorso 30 giugno il Consiglio dei Ministri ha approvato una legge delega che indica, per il petrolio e il gas, il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica la principale autorità e per il carbone, invece, Regioni e le due Province Autonome. Ma questa normativa deve ancora passare attraverso il Parlamento, e ad oggi non vi è nessuna novità in merito.
A questa prima scadenza non rispettata si aggiunge quella del 5 maggio scorso, quando gli operatori avrebbero dovuto presentare i programmi di Rilevamento e Riparazione delle perdite, che ad oggi ancora non ci sono. Ulteriore scadenza non rispettata è quella del 5 agosto 2025, data entro la quale gli operatori avrebbero dovuto presentare alle autorità competenti (ancora non nominate) la relazione annuale che quantifica le emissioni di metano in base alla tipologia di fonte, aver condotto le prime indagini sulle dispersioni, mentre il Governo avrebbe dovuto presentare l’inventario dei pozzi di petrolio e di gas inattivi, temporaneamente tappati, permanentemente tappati e abbandonati, pubblicare l’inventario delle miniere sotterranee chiuse o abbandonate, adottare le norme relative alle sanzioni da applicare in caso di violazione del regolamento e inviare alla Commissione tutte le informazioni sui flussi legati alle importazioni.
L’ applicazione e il miglioramento del Regolamento europeo da parte dell’Italia è un elemento fondamentale non solo per ridurre i costi legati alle importazioni ed evitare le sanzioni europee legate ai ritardi dell’applicazione, ma soprattutto per contrastare i cambiamenti climatici. Non va infatti dimenticato che questo gas fossile è fino a 86 volte più climalterante della CO2 nei primi 20 anni di vita e che questo viene disperso lungo tutta la filiera delle fossili sia attraverso la componentistica generalmente scarsamente manutenuta, ma anche attraverso la combustione in torcia (flaring) e il rilascio volontario (venting).
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