La demagogia aizza i contrasti e trova nella rabbia sociale la propria forza

I primi vent’anni di questo secolo ripropongono temi, allarmi e parole chiave che sembrano tutti usciti dagli anni Venti del secolo scorso: identità, nazionalismo, invasione, guerre e odio etnico. Diseguaglianze e nuova povertà, promesse mancate della globalizzazione dei mercati e crisi finanziarie si manifestano, tutte insieme, in uno spazio politico nel quale hanno trovato terreno fertile nuovi populismi, nuove forme di nazionalismo e di propaganda della paura. Persino il web, nelle parole del suo fondatore Tim Berners-Lee ha tradito le sue attese: trionfa la disinformazione, la polarizzazione, l’hate speech. La propaganda politica della paura, efficacissima e sofisticata, viene anzi sorretta dalla precisione algoritmica delle informazioni online che ci inseguono sul web, ci sollecitano, ci manipolano, ci confondono, ci dividono.
«Siete voi i media, adesso», ha scritto sulla piattaforma X, il suo proprietario Elon Musk, dopo la schiacciante vittoria di Trump nel 2024. Di nuovo presidente, con una campagna ancora più estrema, nelle parole e nelle proposte, nella quale è stata annunciatala deportazione di massa di immigrati fuori dagli Stati Uniti. Di nuovo presidente, dopo la rivolta dei «patrioti» del 6 gennaio2021 a Capitol Hill. In quella circostanza, i cosiddetti «Maga Media» hanno rilanciato la campagna social di Donald Trump sulla (falsa) grande frode elettorale (great steal), sollecitando l’insurrezione, che ha unito le bandiere della secessione, i sostenitori dell’Alt-right, i profeti delle information wars, i razzisti di ieri e di oggi.
Un tipo di retorica infiammatoria e anti-immigrati che Trump ha riproposto nella nuova campagna presidenziale del 2024, affermando, nel dibattito con Kamala Harris, che gli immigrati haitiani in Ohio rapiscono e mangiano cani e gatti. Nel suo discorso di insediamento alla cerimonia di inaugurazione, alla quale hanno preso parte, come capi di uno Stato digitale e finanziatori della manifestazione, tutti i capi delle Big Tech, capitanati da Elon Musk, Donald Trump invoca una nuova «età dell’oro», ma sembra inaugurare l’età dell’odio: tutti in piedi in ovazione quando annuncia misure di contrasto alle politiche di tutela della diversity e della identità di genere o quando definisce l’immigrazione emergenza nazionale da contrastare con la deportazione dei migranti irregolari.
Dopo la firma di una raffica di ordini esecutivi, sono arrivate anche le prime immagini dei deportati con le catene ai piedi. In un reportage, Associated Press sottolinea i timori di tante famiglie con radici migranti a mandare i propri figli a scuola. Specie dopo l’annuncio dell’amministrazione Trump di autorizzare le agenzie federali preposte all’immigrazione a effettuare arresti anche in scuole, chiese e ospedali, ponendo fine a una politica in vigore dal 2011. Anche in Europa, diversi partiti e leader dell’estrema destra sostengono la cosiddetta remigration, cioè l’idea di espellere con la forza da un certo paese tutte le persone straniere anche se sono immigrati regolarizzati. Nemmeno i media tradizionali sembrano immuni dall’ondata di polarizzazione, disinformazione e hate speech che ha caratterizzato l’ultimo decennio. Anzi.
L’invasione russa in Ucraina ha definitivamente rivelato, anche ai più distratti, la sofisticata macchina della disinformazione e della manipolazione online russe a difesa dell’identità e di un’asserita tradizione valoriale contro la presunta minaccia del post-modernismo occidentale e dello Stato di diritto (rule of law). In Romania, accade il fatto inedito che la Corte costituzionale annulli un’elezione a causa di interferenze russe nella campagna elettorale. Dopo gli atroci e sanguinari attentati orditi dal gruppo terroristico Hamas del 7 ottobre 2023, la «carneficina» – per usare il termine dell’«Osservatore Romano» – prodotta in Palestina dal governo di Netanyahu ha rafforzatola nuova ondata di antisemitismo su scala globale, registrata da molti osservatori indipendenti negli ultimi anni.
Nel Regno Unito – già colpito dal successo della disinformazione e dell’hate speech nella campagna per la Brexit – la falsa notizia della presunta origine straniera e fede musulmana del ragazzo di 17 anni che a Southport, vicino a Liverpool, aveva accoltellato diverse persone, uccidendo tre bambine, ha generato un’ondata di violenze e sommosse su scala nazionale contro la comunità musulmana. Il tutto alimentato da un’intensa campagna di disinformazione e hate speech rilanciata da vari politici e personaggi vicini all’estrema destra britannica e diffusa ad arte da un sito pakistano. Una campagna d’odio e disinformazione alimentata poi da Elon Musk nella piattaforma X con attacchi precisi e strategici di hate speech e notizie false contro il premier britannico Starmer, e appelli alla scarcerazione di personaggi come il neofascista Tommy Robinson.
Sono solo gli ultimi episodi di una vasta casistica dell’età dell’odio con cui è iniziato questo secolo. Si è spezzata l’illusione di una globalizzazione prospera e pacifica, guidata dalle doti maieutiche dei mercati interconnessi. La visione ottimistica e lineare della «fine della storia» sembra essersi infranta nel rigurgito del nazionalismo aggressivo, della costruzione del nemico, delle espressioni d’odio come strumento del nuovo politicamente scorretto. La domanda che molti si pongono è quanto le democrazie liberali, necessariamente e «felicemente» fragili, siano resilienti rispetto a un contrasto politico sempre più polarizzato e sempre più nutrito di disinformazione, espressioni d’odio, rabbia, politicamente scorretto, secondo la ricetta tipica del cosiddetto «tecnopopulismo».
La costruzione dell’opinione pubblica, l’apertura della sfera pubblica al confronto politico, il mercato delle idee, così essenziali al confronto democratico, possono davvero resistere alle bolle mediatiche autoreferenziali e a quella che Byung-chul Han ha chiamato «la scomparsa dell’altro»? E se così non è? Se il rischio che abbiamo di fronte è che, sotto i colpi del discorso politicamente scorretto, la fragilità delle democrazie vada in frantumi, i rimedi che possiamo mettere in campo, a partire da nuove regole di governo della disinformazione e delle espressioni d’odio, non possono finire per incrementarne la fragilità? È questa la domanda che dobbiamo porci circa l’opacità della democrazia nell’età dell’odio.
Tratto da “Nell’età dell’odio”, di Antonio Nicita, ed. il Mulino, 180 pagine, 14,25€
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