La rivincita dei ciclofattorini parte da Dergano

Questo è un articolo del numero di Linkiesta Magazine Climate Forward ordinabile qui.
Tra le strade di Amsterdam, Copenaghen, Parigi e altre città europee – non per forza di grandi dimensioni – è ormai la prassi imbattersi in cargo bike che trasportano non solo persone, ma anche cose, andando così a coprire in modo sostenibile il famigerato “ultimo miglio”, ossia la parte più critica e impattante sulle comunità della consegna merci. A Milano, invece, i ciclofattorini sono un corpo quasi estraneo all’interno dell’ecosistema logistico, uno dei livelli cruciali su cui intervenire per decarbonizzare la mobilità urbana, ridurre il traffico e proteggere le persone che si spostano a piedi o in bicicletta.
Stando al secondo Report sulla Mobilità di Amat (Agenzia mobilità ambiente territorio), la crescita dell’indice di congestione del 2023 nel capoluogo lombardo (+7,7 per cento nei picchi serali e mattutini) è imputabile soprattutto ai furgoni merci, considerando che il numero di auto è leggermente calato sia in Area B sia in Area C. Sono circa duecentodiecimila le consegne effettuate ogni giorno a Milano, di cui centocinquantamila per chi acquista prodotti sui siti di e-commerce.
Dal 2020 esiste una realtà che, partendo da un crowdfunding comunale, sta contribuendo a invertire la tendenza. Si chiama So.De – Social Delivery, è un progetto di Magma Impresa Sociale e si fonda su tre pilastri: sociale, solidale e sostenibile. Oltre a consegnare prodotti di vario genere all’interno del perimetro comunale, So.De vuole diffondere e applicare un’idea di città ben precisa. Una città dove i corrieri hanno dignità e valore, e dove lo spazio pubblico non è ostacolato da furgoni della logistica parcheggiati in doppia fila, sui marciapiedi o sulle bike lane.
«Sono appena tornato da un servizio di distribuzione dei pasti in una trattoria in zona Precotto. La ciclabile di viale Monza è come se non esistesse, ci sono solo auto. Peccato, perché Milano – piccola e pianeggiante – è potenzialmente perfetta per le consegne in bici», ci racconta Sandro Greblo, uno dei ciclofattorini di So.De, che in passato ha lavorato per una nota piattaforma che consegna cibo a domicilio.
«Sono mondi completamente diversi. I rider hanno dei picchi di lavoro, mentre noi qui abbiamo dei turni. A So.De abbiamo anche dei punti di riferimento per la sicurezza, un’officina dove riparare e parcheggiare i mezzi (di proprietà dell’azienda, ndr), delle persone a cui affidarci e dei corsi di formazione sull’Haccp, sulla sanificazione e tanto altro. Chi lavora per le piattaforme fa tutto tramite app. È disumanizzante», continua. Greblo, che ha recentemente pubblicato con Meravigli un libro intitolato Vita in cargo bike, è addetto alla sicurezza e coordina anche un corso sulla ciclologistica, tema che non riguarda solo gli storici bike messenger che consegnano pacchi pedalando su e giù per le città.
Lo abbiamo incontrato in uno dei due hub milanesi di So.De, in via Guerzoni, non lontano da viale Jenner, sulla circonvallazione esterna. In un enorme capannone che anni fa ospitava la sede della Uisp (Unione italiana sport per tutti), oggi c’è il quartier generale di una delle realtà più interessanti d’Italia nella logistica sostenibile in bicicletta. Le vetrate laterali sono ampie e permettono ai raggi del sole di illuminare tutti gli angoli di un open space allegro, colorato e ben organizzato. In fondo, ci sono la ciclofficina – aperta a tutto il quartiere il lunedì pomeriggio dalle 17 alle 19 – e il reparto di stoccaggio dei pacchi.
Vicino all’entrata spicca l’area adibita al parcheggio dei mezzi. E il resto dello spazio è dedicato agli uffici. Qui incontriamo anche Rossana Adorno, collaboratrice di So.De che segue il reparto comunicazione, Filippo Motta, che si occupa di gestione della logistica e consegne in cargo bike, e Elia Cipelletti, responsabile logistica e co-fondatore assieme ad altri sei ragazzi e ragazze: «Ci siamo posti come obiettivo l’inserimento di persone provenienti da situazioni di fragilità e marginalità: migranti, richiedenti asilo, ex detenuti. Cerchiamo di fare in modo che circa un terzo del nostro organico sia composto da lavoratori che rientrano in questi profili. Non è sempre facilissimo rintracciarli, per questo ci rivolgiamo a diverse associazioni che fanno accoglienza e ci propongono delle persone. Tra gli esempi virtuosi voglio citare l’inserimento di due ragazzi che vengono dal Corno d’Africa: sono con noi da più di un anno ed entrambi hanno un contratto a tempo indeterminato», spiega Cipelletti mentre dà il cinque a un ciclofattorino tornato alla base per la pausa pranzo.
La logistica di So.De è composta da tredici persone che consegnano non solo cibo, ma anche piante, fiori, libri e piccolo mobilio. A questo proposito, da un paio d’anni Ikea si affida esclusivamente a loro per il delivery in cargo bike di pacchi fino a venticinque chilogrammi di peso, a dimostrazione dell’enorme potenziale della ciclologistica: «Ikea porta i suoi prodotti nelle nostre due sedi (l’altra è in Porta Ticinese, ndr), e noi ci occupiamo della consegna finale. È questo lo schema che si dovrebbe attuare per l’ultimo miglio degli accessori per gli interni. In tante città europee stanno nascendo degli hub di scambio ai margini delle città, dove i furgoni passano le merci alle cargo bike per le consegne nelle vie più strette e trafficate dei centri urbani. È un’idea che dovremmo applicare anche in Italia», prosegue il co-fondatore.
So.De ha a disposizione una decina di mezzi – alcuni omologati per carichi fino a cento chilogrammi – che si alternano in base ai turni dei ciclofattorini. È un sistema ormai collaudato che oggi vede So.De interfacciarsi con una quarantina di clienti, legati alla startup da un contratto o da pacchetti di ticket acquistati per un determinato numero di consegne. La strada per arrivare a questo punto, però, è stata lunga e non priva di cambi di rotta.
Il nostro delivery sociale, spiega Rossana Adorno, «è nato durante la pandemia come iniziativa legata a un locale qui vicino, il Rob de Matt, che appena ha potuto ha riaperto la cucina per distribuire pasti caldi alle famiglie della zona». Le consegne erano effettuate in bicicletta da alcuni volontari del quartiere di Dergano, che hanno unito le forze in un periodo in cui risultava complesso – ma di vitale importanza – coltivare un senso di comunità: «C’era un bel fermento, lì abbiamo piantato il primo seme. Poi abbiamo aperto un crowdfunding civico grazie a un bando del Comune di Milano e siamo partiti».
L’obiettivo, in principio, era quello di sviluppare un delivery di quartiere, ma l’universo della gig economy funziona solo con grandi volumi e tante persone che lavorano freneticamente: tutto il contrario della visione dei fondatori di So.De, che puntavano a un modello di business più lento, etico, rispettoso dei lavoratori e dei ritmi urbani. «La consegna sostenibile dell’ultimo miglio è molto richiesta anche da piccole realtà che vogliono essere sostenibili lungo tutta la filiera e fare le cose bene fino in fondo. Noi permettiamo loro di aggiungere l’ultimo tassello», dice Elia Cipelletti. A quel punto si è sviluppata anche la parte solidale, che si concretizza ad esempio in laboratori per promuovere l’uso della bici, nel recupero del cibo invenduto nei supermercati e in altri corsi organizzati direttamente nell’hub di Dergano.
La sensazione è che So.De sia stata abile a interpretare lo spirito del tempo, ispirandosi a casi virtuosi in Europa ma aggiungendo buone dosi di originalità e personalità. Le metropoli stanno cambiando, i costi sociali della gig economy sono sotto gli occhi di tutti, così come l’impatto della logistica “a motore” sulla vivibilità dei quartieri e sulla sicurezza dei cittadini. C’è sempre più necessità di rallentare, di abbassare il ritmo e di dare concretezza a tutte le sfere della sostenibilità, uno dei termini più abusati del nuovo millennio.
Prima di salutarci, Elia Cipelletti ci tiene a sottolineare che So.De «non punta sulla velocità delle consegne, così da non esporre i ciclofattorini (ai pericoli della strada, ndr). Il pricing che proponiamo valorizza la consegna programmata, lenta, organizzata nell’arco di una giornata. Nelle giornate in cui il meteo è particolarmente avverso, dico ai ragazzi di fermarsi: non stiamo consegnando organi. Vogliamo abituare le persone a un nuovo tipo di consegne, contribuendo a diffondere un cambio di mentalità». E un giorno, forse, non vedremo più scene come quelle di Bologna, con i rider con l’acqua fino alle ginocchia durante un’alluvione e le famiglie al caldo in attesa di una pizza a cui potevano rinunciare.
Questo è un articolo del numero di Linkiesta Magazine Climate Forward ordinabile qui.
L'articolo La rivincita dei ciclofattorini parte da Dergano proviene da Linkiesta.it.
Qual è la tua reazione?






